lunedì 25 ottobre 2010

25 ottobre

Oggi tra l'altro cade anche un altro anniversario, che autocelebro su questa pagina: otto anni fa prendevo la mia laurea triennale.
Ora, a parte l'inarrestabile declino in cui l'universitá italiana versa fin da allora, è vero che quello fu un momento di inizio per molto di ció che mi caratterizza oggi.
Eppure quel giorno lo sottovalutai, alla grande. Oggi invece lo ricordo come qualcosa di passaggio, si, ma spontaneo, brillante, pieno.

Bene, autocelebrazione finita: avanti con la prossima!

Las Manchas de la Isla

Un año después de haber tocado por primera vez en mi vida suelo suramericano, encuentro, entre muchos papeles sobre la mesa de mi cuarto, ese pequeño escrito.


- Las Manchas de la Isla -

Lo que pasó hasta que llegé a los cuatro mil metros de la Isla del Sol lo recuerdo casi nublado.
Quizás porque hasta entonces yo todavía no hablaba castellano, así que los pensamientos se movían despacio, como mis palabras. Al mismo tiempo los lugares y las imágenes seguían corriendo rápido como jamás hasta entonces.
El tiempo cero estuvo, entonces, en una esquina del espacio en la cual vive la Isla del Sol.
En una escuela, los niños a mi alrededor me preguntaban lo que estaba haciendo y yo intentaba explicar que quería armar un telescopio para dejarles mirar el Sol: una pelota amarilla, o mejor dicho, blanca. Tal vez un poco aburrida, por ser plana, sin manchas: eso era lo que yo creía que íbamos a observar.
En vez el Sol empezó a estar manchado exactamente ese día de finales de octubre, después de que los estudiantes y los investigadores de todo el mundo estuviesen esperando ese evento por mucho tiempo.
Con esos niños bolivianos vimos una mancha, bien marcada en el disco solar, que llenaba de color el telescopio y de maravilla los ojos de la gente.
Al mismo tiempo, ese pequeño punto sobre la superficie solar escribía en mi cabeza : "Se mira para descubrir, se descubre para admirar."
Fue así que, de nubladas, las imágenes que viví pasaron a ser manchadas y luego claras, y mis palabras, paso a paso, más rápidas y siempre más suramericanas.

domenica 24 ottobre 2010

Solo una collezione

La domenica finisce qua, con Crosby Still Nash e Young che fanno trentatré giri al minuto davanti alla vetrata che mi separa dal Baltico. Ieri invece avevo provato a far fare a Billy Joel quarantacinque giri al minuto. Aveva davvero una vocina graziosa, quasi stridente e dopo poco direi proprio supplicante, desideroso di scendere dalla giostra.
Oggi é stata una bella immersione nel "lancio del disco". Sono capitato a vivere in una casa dotata di centinaia di vinili e il mio approccio é il seguente. Prima scelgo gli artisti che mi va di ascoltare, poi prendo un disco a caso. Gli ultimi sono stati i Level 42, peró non é che mi abbiano cambiato la giornata. Non era facile, dopo Billy Cobham e Lou Reed, vero.

Rimane il fatto che la collezione di lp che mi ritrovo in casa non mi piace. Non so, non mi risulta familiare. Ci sono grandi artisti, album splendidi, ma non ha un'anima.
Troppi "greatest hits" credo, cosí mi ci muovo un po' a casaccio. Ne prendo un pezzo alla volta, lo faccio rimbombare nella sala da pranzo e ricarico le energie spese nei precedenti giorni passati in giro. È solo una collezione e il fatto che sia di materiale vinilico non cambia questo dato. Prendo un disco, lo ascolto e passo al successivo. Una collezione di un disco a serata e una decina di dischi per un pomeriggio domenicale. Paradossalmente la musica mia, quella in cui riesco a riconoscermi in un istante, l'ascolto invece con il poco poetico lettore mp3 nell'ancor meno poetica metropolitana. Scandito cosí, è il ritmo della settimana.
Ora Friedrich Gulda sta suonando Beethoven e non posso piú disturbarlo con il ticchettío della tastiera del computer: deve finire il concerto prima che io vada a letto.

venerdì 22 ottobre 2010

Sol

So, after the morning snow here is the afternoon sun.
More shining than usual, because of the thin snow layer still veiling the soil, creating a mixing of green, red, yellow and white in about every lawn of the city. Let's simply enjoy these last days of sunshine, no need of too many words.

Snö

Here comes the first snow of the season in Stockholm.
How many times will I see this show during the next winter?
Which kind of snow am I going to walk on? and to ski on?
And how many snowfalls will I walk through?
Will I remember the last snowfall as well?
Let's now celebrate with a coffee this white dust that will become powder one day. I'm looking forward for it.
For all the rest, I have my winter jacket here with me and I am ready.

giovedì 21 ottobre 2010

Osservatorio, parte seconda

Come raccontato in varia letteratura, le persone hanno spesso due aspetti differenti, totalmente opposti l'un l'altro. Ecco un esempio naturale dell'altro mio lato, tramite una storiella.
Stasera preso da un attacco di "astronomitite" acuta, ossia una veemente necessitá di alzare gli occhi al cielo e osservarlo, approfitto del cielo pulito e me ne vado all'osservatorio. Per la prima volta mi trovo a maneggiare un telescopio da un metro da solo, ad essere l'unica persona che opera sotto la cupola che lo protegge.
Sono fiducioso, ho tutte le istruzioni a portata di mano e so cosa fare. Seguo il manuale passo passo, solo che invece di iniziare ad osservare un oggetto semplice, tipo la Luna, mi dirigo direttamente su una galassia, M81.
Metto in moto il telescopio, questo inizia a muoversi e poi si ferma in una posizione completamente casuale e non ne vuole sapere piú di muoversi. Le provo tutte, riavviare, usare il controllo manuale. Niente. Per fortuna non è molto tardi e posso chiedere l'aiuto di qualcun altro che sta ancora nel suo ufficio, due piani piú in basso. Mi vengono in aiuto due "veterani" del telescopio: le provano tutte anche loro, ma niente. Addirittura, dopo aver mosso il telescopio a mano, questo ritorna automaticamente a puntare nella direzione di prima e da cui non si vuole muovere. Insomma, sono riuscito a mettere, per caso, il telescopio in una posizione da cui è impossibile spostarlo,
Alla fine siamo costretti a muovere questo piccolo mostro da un metro esclusivamente a mano, neanche fosse un giocattolo, un telescopio di quelli che si regalano ai bimbi. E io sono costretto a rinunciare alle mie osservazioni di stasera.
Ora, come si interpreta questo episodio?
Qualcuno direbbe che è sfiga. Non lo é.
Qualcun altro direbbe che è colpa di qualcuno piú in alto. E questo potrebbe essere il caso.
Chi invece mi conosce lo sa qual è il motivo: se metto mano su qualcosa, questo per principio all'inizio non funziona, a prescindere dal fatto che io segua o meno le istruzioni.

Una fabiata come un'altra,
se la vogliam cosí chiamare,
o anche una delsordata,
per meglio definirla.
Ma direbbe una maestra,
dal verbo un po' volgare:
"Hai fatto una cazzata,
sará ora di finirla?"

domenica 17 ottobre 2010

Osservazioni astronomiche

E questa é l'altra storia.
Dettagli tecnici: Osservazione di vari crateri e mari lunari, di Giove, di M31, meglio nota come galassia di Andromeda, di M13, meglio noto come grande ammasso globulare nella costellazione di Ercole, della cometa Hartley, di passaggio al suo perielio.
Dettagli atmosferici: poco piú di zero gradi centigradi, vento forte, seeing moderatamente schifoso.
Dettagli alimentari: due chorizo di mezzanotte al chiosco di fronte al KTH per celebrare le osservazioni effettuate, ma soprattutto perché non avevamo cenato e stavamo cominciando ad autodigerirci.
Dettagli accademici: Alexis é il mio mentore, il che in buona sostanza significa che una volta all'anno dobbiamo avere un meeting ufficiale e gli devo raccontare come va il mio dottorato. Ecco, questo é stato il nostro meeting ufficiale, il che si pone in continuitá con i meeting avuti con il mio precedente supervisor (ma davvero per raccontarli mi servirebbe aprire un altro blog).
Note dell'autore: sensazione di appartenenza, di sentirsi a proprio agio, nonché figata pazzesca.

Un invito implicito

Questa é la storia di un non ritorno a casa.
Perché qualche giorno fa avevo deciso di fare un pomeriggio tranquillo, casalingo, ma poi sono stato attratto da un seminario sull'origine della vita. Il tipo era un buon oratore, ma soprattutto c'era una delle famose discussioni post seminario con birra e vino aggratis. Come rifiutare?
E come rifiutare l'invito ad osservare il cielo con il telescopio dell'osservatorio?
Tra una chiacchiera e l'altra su molecole strane e l'esercizio di aprire una bottiglia di vino con un coltello, ecco che mi ritrovo a parlare di fotografia, di ottiche e sensori, di telescopi e di osservazioni astronomiche.
Viene fuori che il professore con cui sto parlando, Alexis, avrebbe passato metá della serata ad osservare il cielo con il telescopio dell'osservatorio.
"Non posso rifiutare l'invito", penso ancor prima di essere stato invitato.
Dal campus di Frescati ce ne torniamo ad Albanova. Alexis é un tipo con cui le chiacchiere scorrono facili. Arrivati all'osservatorio apriamo la cupola e lasciamo che gli specchi del telescopio si acclimatino all'aria fredda della notte di Stoccolma.
Poi, preparato il tutto, cominciamo ad osservare, ma questa é un'altra storia.

Cinque giorni, poi a casa.

Prendo le carte e mischio.
Osservo il cielo da un osservatorio astronomico -
Me ne vado ad una partita della seconda serie svedese. Meglio la serie D italiana comunque. Pubblico che neanche fossimo il sabato sera in discoteca, praticamente impossibile guardare la partita -
Lunga discussione sull'origine della vita nell'universo -
Corsa vicino al lago (si, ricominciamo) -
Rosso fuoco dell'autunno di Stoccolma-
Il Mercatino di Hötorget.
La solita routine e il fenomeno della scomparsa delle sensazioni quando si lasciano passare giorni prima di scrivere. In realtá è un test sulla veridicitá di ció che ho vissuto. Uno guarda un film sentimentale la notte da solo e sente di avere dentro urla con cui schiacciare il mondo. Il giorno dopo sparisce tutto.
Uno cammina spensierato o con mille inquietudini per una strada qualunque e dopo anni scopre che stava facendo qualcosa di sensazionale. Camminare con un'inquietudine, pensare, decidere una direzione, piegare la vita per renderla rotonda quanto si vuole. Mica capita con facilitá. Mica capita cosí di passare le giornate a progettare il prossimo viaggio, che non é quello nel paese sperduto di chissá quale continente ma quell'altro, piú semplice e necessario, del ritorno verso casa.
Sto una domenica in universitá e d'un tratto mi ritrovo che ho camminato verso il pianoforte piú vicino, quello che c'è in una delle stanze dell'osservatorio di Albanova, per suonare una mezzora su dei tasti che, dio mio, la scala diatonica è un ricordo lontano, ma che, si, ne avevo proprio bisogno.
Quello che non succede se lo progetti, ma capita se gli lasci spazio, è sentire la necessitá di guardare piú in lá e lasciarsi guidare da questa sensazione.
Per questo guardare i crateri della luna è di nuovo un'esperienza fenomenale. Perché so che ci sono, perché vivo ogni giorno a pochi metri dal telescopio con cui li ho osservati qualche giorno fa e perché sono ritornato ad osservarli e mi sono stupito.
O suonare le solite note su un pianoforte stonato mentre nella vetrata vedo il cielo avvolgere la cittá ad occidente con il suo crepuscolare braccio rosso.
Per questo ci provo, ci provo a scrivere, per stupirmi due volte dello stesso tramonto, delle stesse ore passate con buoni amici, per sbattere il pugno sul tavolo e non assopire la mia inquietudine, per sentire cos'è che ho vissuto e metterlo da parte, per mischiare le carte, sceglierne una e scartarla via se non fa parte del mio gioco.

domenica 10 ottobre 2010

Chi té pep' mett' inti' fuogli'

Detto di origine tufarese, per quanto ne sappia.
Come molti altri detti, pare che abbia origine nei tempi di guerra. Da mangiare c'era poco: molti potevano trovare verdura di campo, di qualsiasi genere (fuogli'), mentre solo pochi potevano disporre dell'appropriato condimento (pep') per renderla piú appetibile.
Come molti altri detti si rilegge oggi in chiave differente: spesso il pep' é il denaro e chi ne dispone puó godersi la vita e approfittare di molte opportunitá.
Quindi chi té pep' mett' inti fuogli', chi invece non ce l'ha si deve accontentare.

lunedì 4 ottobre 2010

Contestualizziamo

In genere in queste pagine non commento ció che avviene nel mondo, tranne qualche eccezione. Ne faccio una, breve.
Qualche giorno fa un importante esponente del Vaticano ha detto, a seguito di una imprecazione in pubblico del presidente del consiglio, che la bestemmia va contestualizzata.
Oggi, a seguito della proclamazione del premio Nobel per la medicina, il Vaticano stesso ha criticato tale riconoscimento, perché conferito ad uno scienziato che pare abbia effettuato le sue ricerche senza curarsi di problematiche di carattere etico.
Invito quindi tutti a constestualizzare le bestemmie e a rivolgerle contro il Vaticano e gli ordini religiosi tutti, anziché contro il povero buon Dio che, se esiste, ne avrá le scatole piene anche lui.
Porco il Vaticano.

Vasaparken

After a weekend of rain, Monday and Tuesday have been cold but sunny days. Nevertheless, no time to go to play football in Vasaparken.
Ten minutes walking from Kammakargatan, Vasaparken is a cozy place to spend a sunny afternoon, playing guitar on the grass or having a barbecue, but mostly playing football. There are two fields of synthetic grass on which you can play day and night time thanks to an almost stadium-like illumination system. For free, of course. Then, you can easily imagine, here I have rediscovered the pleasure to play football in a completely spontaneous way, what I usually define as playing football in the street.
People from almost every part of the world come to play here in Vasaparken. Very technical players from Colombia and Brazil, aggressive ones from Ecuador and then people from England, Holland, Jamaica, Senegal, Morocco, Japan. No other italian than me and some of my guest in the summertime, like Antonio and Matteo.

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This was the beginning of a post, exactly one year ago. In the end it didn't go further the stage of a draft but it was still kept in the online archive of the blog. It's now a long time since I don't go playing in the same place, having spent my time strolling in other parts of Stockholm. This morning I was biking next to Vasaparken again, the fields were empty, but still green. When the winter arrives they will of course change their color into an icy white and the football players will be substituted by ice hokey ones.

sabato 2 ottobre 2010

Lampada frontale

La frontale é un aggeggio che uso ogni giorno per tornare a casa.
Mentre cammino di notte guardando nel cerchio illuminato e ondeggiante che mi ritrovo davanti ai piedi il pensiero va in un istante alle notti in campeggio, ai giri in montagna, alle chiacchiere con gli amici, all'attesa per una nuova avventura o a quella per il ritorno alla macchina o in tenda.
Invece alla fine mi ritrovo direttamente a casa, faccio un respiro profondo e spengo la lampada, riassesto la mia immaginazione con le luci del neon, addolcite da quelle di candela.

venerdì 1 ottobre 2010

Approdi

Ció che davvero é unico in tutto ció é il riuscire ad unire viaggio e routine.
Che quando si viaggia non si vive un posto per la mancanza della ripetizione quotidiana dei gesti e dei percorsi, e quando si abita un luogo, il ciclo delle attivitá che si ripete al ritmo di un orologio a pendolo, fermandosi solo quando una ricarica di energie esterne è indispensabile, non lascia spazio alle novitá che un viaggio solo sa proporre. Il viaggio fa incontrare gli abitanti e le loro abitudini, sfuggendone spesso il senso. Gli indigeni vedono i viaggiatori passare senza intuire l'origine né la direzione dei loro cammini. La soluzione pare essere quella in cui un cambiamento di strada, di tempi, di punti di vista, soddisfi il rifiuto di assuefazione ad una cadenza giornaliera nelle proprie avventure.

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Forse sto entrando troppo nella forma "diario", lasciando quella "post", aspirando a quella "ho scritto una cosa che mi piace" e sognando quella epistolare, in cui una parola sia ricevuta da ogni lettore come un cenno ad egli stesso e nessun altro. Scrivere davanti al camino, in riva al mare, dá questi effetti collaterali. Poi finisco a scrivere qualcosa di troppo corto e inconcluso, come questo corsivo, o di inutilmente lungo, come la parola inutilmente in questa frase, anch'essa troppo lunga.

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Dopo aver attraversato il mare approdo sull'isola, piú o meno ogni giorno ad un'ora diversa dal precedente. È un'isola piccola, ma di una certa estensione. Ogni giorno una diversa ora corrisponde ad un nuovo isolano che mi ospita nella sua barca. Barche piccole ed estive o provviste di una cabina di pilotaggio ben riparata dalle intemperie. Ogni barca corrisponde ad un punto di approdo e cosí ad un nuovo tragitto da fare verso casa. Se i sentieri li ho oramai percorsi giá quasi tutti, molte sono ancora le ore del giorno e della notte in cui possa girovagarne attraverso. Poche e sottili le differenze, solo per occhi attenti.
Ieri qualcosa di non calcolato mi ha fatto arrivare a casa solo alle 20. Oggi erano le 21 quando ho messo piede sull'isola e le 21 e 15 quando sono arrivato a casa, l'altro ieri alle sei avevo giá lasciato lo zaino in camera ed ero giá a suonare il piano, pensando a cosa preparare per cena.
Dettagli che non importano a nessuno, di una monotona ordinaria amministrazione che rende vero e tangibile il viaggio in cui mi sto barcamenando.
 
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