giovedì 14 aprile 2011

Isn't it nice, Norwegian ice?

"Si parte di nuovo. Sempre.
E come sempre non so dove andró."

Si, l'avrei iniziato cosí il racconto del nuovo viaggio, perché è ció che sento ed è la veritá. Ma non stavolta, mi sembra non funzionare.
L'avrei iniziato anche con questo titolo, che mi é venuto cosí mentre Beppe citava i Beatles, e invece lo riutilizzeró per un altro racconto.
Dovrei anche scrivere dell'organizzazione, delle peripezie, dei "ti vengo a prendere" o "ci vediamo lí", che prima o poi dimenticheró e in un qualche futuro si confonderanno con quelli di un altro viaggio. Ma mi rassegno, perché non potró ricordare tutto.
Presto saremo in macchina, tra boschi, laghi e verso i monti, i fiordi, nelle notti che si restringono sempre di piú fino a diventare una macchiolina nera nella luce diurna del nord. Presto saró sui monti a dividermi l'aria con i miei amici.
Intanto voglio appuntarmi una storia, che segna l'inizio del viaggio, che è una di quelle che dimenticherei e che non merita di essere dimenticata.

Qualche giorno fa ordino una quantitá spropositata di cartine della Norvegia, scala 1:50.000. Una quantità di mappe geografiche che mi faccio spedire da un Qualunqueshire della Gran Bretagna direttamente in Universitá. Farmelo spedire a casa sarebbe un casino, dato che l'indirizzo dell'isola non mi sembra dei piú affidabili.
Passo quindi qualche giorno ad attendere con ansia l'arrivo del pacco postale, che peró si ostina a non comparire nella mia casella postale. Fino ad arrivarmi nella piú improbabile delle maniere.
Sto seguendo un seminario quando il direttore dell'Albanova University, ossia del centro che ospita i dipartimenti di fisica, astronomia e biotecnologie della Stockholm University e del KTH, apre la porta e si affaccia nell'aula, come a non voler disturbare, con l'aria un po' smarrita. Lui è una di quelle persone che non gli daresti due lire, peró é il supermegadirettore e quindi deve sapere il fatto suo. Penso che stia cercando qualche professore, forse il mio capo, quando invece vede me, gli si illumina il volto, entra nell'aula camminando nella mia direzione e all'ultimo istante tira fuori da dietro alla schiena un pacco postale ("Le cartine!!", realizzo in un istante) e, con un sorriso tra il soddisfatto e rassegnato sotto i suoi baffetti, se ne va.
Non ho dubbi su cosa abbia pensato:
"Parte di nuovo. Sempre.
E come sempre non so dove andrá!"

sabato 9 aprile 2011

Giú il cappello e altri incipit per storie folli o di genialitá

Cosí termina il "Trittico dei giú", perché sulla Sicilia non posso far altro che iniziare a scrivere, senza terminare.

Un passaggio

Era sera inoltrata quando sulla circonvallazione della cittá, appena dopo una curva a gomito, una vecchia Panda rossa passava sfrecciando, inchiodava, faceva retromarcia e si fermava accanto a due passanti. "Volete un passaggio?" "No, grazie" "No, forse non avete capito: volete un passaggio?"
I due erano arrivati il giorno prima e in quella cittá non conoscevano nessuno.


I ruoli

C'è Gaetano, che è il padrone di casa. C'è Mary, che è un'amica di famiglia. Anzi, una parente. C'è Biagio, che è un amico molto stretto, anzi un mezzo parente. C'è Maurizio, che è il marito di un'amica di famiglia. Ci sono un'infinitá di altre persone che entrano ed escono. Abbia pazienza il lettore e le conoscerá tutte.


I mercati

Mi piace scrivere di ció che faccio, o che vedo, ma quel che segue non l'ho visto, né fatto. Ero impegnato, quel giorno, ero perso. Diamine, il tempo che non mi basta mai. Dovrei avere una doppia vita. Ma che dico! con una doppia vita perderei il doppio delle cose e il tempo lo dimezzerei una volta di più.
Peró ho scoperto un trucco: vedere con gli occhi degli altri, fare con le mani di chi mi sta accanto. Non raddoppia il mio tempo, ma aggiunge qualcosa. Cosí, in quel giorno, in quella mattinata, ci guadagnai l'esplorazione di un posto che vive nel regno dell'assurditá: il mercato del pesce.


Giú il cappello, o I cappelli di Mary

La signora aveva sull'appendiabiti due giacche vecchie, una camicia da notte e un'infinitá di cappelli. Un basco marroncino, una bombetta rossa, un cappello in paglia parasole, un berretto ricamato, un piccolo cilindro nero e uno piú grande, leopardato.
Ogni mattina scendeva le scale e, alla fine della sinusoide che univa i due piani della casa, diceva: "Giú il cappello!"

mercoledì 6 aprile 2011

Giú dal vulcano

Via Etnea parte dal mare e punta verso l'Etna. Si chiama così perché, se si proseguisse sempre dritti in direzione nord, si arriverebbe sull'Etna.

Nello zaino, partendo da Stoccolma, ci ho messo solo lo stretto necessario. Sci inclusi. Il resto sapevo che l'avrei trovato in loco: neve, montagne e persone con cui condividerle.

Riccardo mi dice che ha un amico che l'Etna lo conosce molto bene, che é li che porta sempre a spasso i suoi sci e che, guardacaso, si chiama anche lui Riccardo.
Lo chiamo mentre sto camminando per via Crociferi e in un minuto mi dà gli orari degli autobus per raggiungerlo a Zafferana Etnea e da lì andare sul Vulcano.
In un altro minuto mi ritrovo che è sabato mattina, che scendo per via Etnea con gli sci in spalla e le vecchiette che mi guardano incazzate, che salgo sull'autobus per fare la tratta Catania-Zafferana Etnea e che scendo nella piazza di questo paesino siciliano. Più che una piazza è una enorme terrazza sul mare a circa seicento metri di altezza, con un paio di signori che squadrano i miei sci appoggiati sulla panchina dove forse sono soliti sedersi.
Riccardo mi passa a prendere con la sua macchina e la mezzora che separa la piazza di Zafferana dalle pendici innevate del Vulcano è abbastanza per conoscerci e capire che passeremo una grande giornata sulla neve.
Sole da stare in maniche corte, neve perfettamente trasformata, primaverile, e nessun'altra meta che non sia quella di andarsene a spasso sull'Etna, di conoscerne i mediterranei e sterminati orizzonti che si aprono al di lá delle sue creste fatte di lava.
Noi puntiamo verso la Montagnola e da lassù vediamo la Calabria e oltre, la valle del Bove che si distende verso oriente. A Nord Le Eolie rimangono oniriche al di là delle nuvole.
Penso a come sia disinteressato a raggiungere la cima del Vulcano, o una cima qualunque. Quanto un posto possa addirsi ad un giorno della mia vita, non sta scritto nella sua altitudine.
Scendiamo nella valle che costeggia i crateri Silvestri con una magnifica sciata primaverile, per poi risalire il cratere Silverstri superiore.
E sciamo sul bordo di questo cratere, sopra un effimero e bianco manto nevoso che copre e scopre il fondo di nere pietre laviche.
Giú dal vulcano, giú verso Zafferana Etnea, saluto Riccardo con la certezza che ci rivedremo. Ed è ancora mezzogiorno, giú verso Catania.

Giú per via Etnea

Nell'atlante geografico Catania è un bel po' più giù che Stoccolma.
Allora metto l'essenziale nello zaino e comincio la discesa.


Catania secondo me si divide in due parti: Via Etnea e non-Via Etnea. E secondo me Via Etnea è una via in cui c'è tutto, tranne ciò che si può trovare solo in non-Via Etnea. C'è il mare, la montagna, c'è il miglior cibo dell'universo conosciuto, le auto più folli guidate dagli indigeni spavaldi e quelle più tranquille, condotte dai vecchietti con la coppola e le due mani sul volante con i gomiti piegati all'inverosimile. C'è un elefante con le palle, c'è un fiume di gente e ci siamo anche io e Sophie, quando non siamo in non-Via Etnea. Ci sono una varietà di fenomeni tali che io d'un tratto capisco perché la letteratura Siciliana sia così ricca, capisco che, se sapessi farlo, potrei scrivere un libro su questa via. Invece ne riporto solo una piccola storia.

Un mercoledì sera ci prepariamo alla solita uscita, attraversiamo la circonvallazione e cominciamo la discesa dal punto più alto di Via Etnea.
Attraversare la circonvallazione a piedi non è banale, specialmente per chi vive a Stoccolma, dove anche un bimbo di due anni può attraversare la strada senza dare la mano alla mamma. A Catania la mano la devi dare, eccome!
La discesa per Via Etnea è interminabile, ma noi ci mettiamo in testa di farla tutta e arrivare fino al mare, che di giorno si staglia alla fine della via. Superate piazza Università e piazza Duomo pensiamo di esserci, ma invece andiamo a finire nel parcheggio degli autobus, semideserto, dove la metà non deserta è costituita da un gruppo di autisti degli autobus i quali se ne stanno a chiacchierare in tranquillità fino a che io non gli chiedo: "Scusate, ma come ci arriviamo sul mare?".
Chiaramente comincia un diattito serio su come giungere al mare, dove andare, con quale autobus, come tornare, e in men che non si dica una decine di persone sono coinvolte con i loro pareri, idee e suggerimenti.
Questa bellissima scena teatrale culmina e finisce con uno degli autisti che ci dice: "Ma perchè non venite in macchina con me? abito ad Aci Galatea e sul lungomare ci devo passare, vi lascio nella zona dei ristoranti."
Io accetto come se fosse la cosa più naturale del mondo, Sophie si ritrova catapultata sul sedile posteriore di una macchina sconosciuta senza capirne il perché.
Diretti verso il lungomare, zona Piazza Europa, mondo non-Via Etnea, dopo meno di un minuto squilla il telefono dell'autista e nel silenzio calato all'interno della sua Punto rimbomba il suo timore di parlare esplicitamente con chi gli sta chiedendo di tornare indietro per andarla a trovare. Le amanti esistono in tutto i mondi e quello degli autisti di autobus non fa eccezione.
Ma, come ogni buon autista, fa comunque il suo "dovere": ci porta sul mare davanti ad un bel ristorante, prima di dissolversi nella sua avventurosa serata.
A noi invece tocca mangiare pesce in riva al mare. Prima di risalire Via Etnea e aspettare di ridiscenderla il giorno dopo.
 
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