lunedì 10 giugno 2013

Canto d'attese e incontri erranti

Scintillan mute le stelle
nei cieli di plenilunio
dei miei giorni solitari,
cosi', a te Luna, parlo e chiedo: 
credi esista un pastore, un saggio
che mi narri dove nascono i binari
sui quali rotolo inquieto
sin da un giorno di meta' maggio?
E, degli incontri che anelo
e schivo indifferente,
che adocchio e afferro a bruciapelo,
quali son miraggi,
e quali approdi d'umanita', viaggi?

Ho dovuto finora
perdermi e ritrovarmi
da solo, lasciandomi
giacere con la schiena
ad aggradarsi sulla curva Terra

per cercarmi nel cielo,
dove piu' m'oriento
e piu' mi smarrisco,
sospeso il mio percorso
tra lo scintillio del cibo
e il disgusto delle feci.

Ho dovuto nutrirmi
della merda nella mia testa.
Mi piaceva, me la gustavo
fino alla nausea, ingozzarmi
credendomi a una festa
di cui ero l'ospite, e lo schiavo.
Cosi' ubriaco delle mie paure
da sembrarmi impavido
m'agiravo assente, pallido
a serrar tutte le chiusure
al mondo, al Sole, alle creature
che mi amavano. Vomitai:
quell'orripilante essere, me stesso,
era appena rinato.

Ho dovuto scopare
le peggiori puttane,
cercare il sale e leccare
le loro gemme malsane,
le grandi bocce
flaccide dal tanto palpare
fino a sbagliare la presa
sui pericoli sinuosi
dei fianchi, vicoli tortuosi
alle labbra di fuoco e seta,
e divenir persona arresa:
l'amore e' affanno d'una folle meta,
e' ritorno a una casa
da cui mai sono partito,
e' pioggia tempestosa
su un percorso sconosciuto
e poi il levarsi delle nubi
a illuminar vallate d'un profilo mai vissuto.



Ho dovuto aspettare prima di scrivere e cantare
queste rime dissonanti.
Delle strofe fuori tempo
mi piace la marea
che suscitano, scombussolate
onde alla rinfusa
crescono, mareggiate,
uomini in cambusa
che le attraversano ignari
e certi che la dea e musa
dei peregrinaggi non avari
riservi, infine, la quiete,
seppur solo in un piccolo lembo
d'acqua, d'oceano, di sete.


Vivrei da re sapendo d'essere
quel pastore ch'incontra
e parla con te, o Luna,
che fatica, suda, scontra
il suo errare sulle brune
linee dei viandanti di montagna
con la quiete smarrita il di' natale.
Cosi' ora ti domando, Luna, il mio malessere:

Perche' l'uomo dedica il suo tessere
a specchiarsi e rispecchiarsi
sempre nel proprio essere?
a credersi tutto anziche' nulla, all'amarsi?
a rifiutar cio' che non sia perdersi?

So, Luna, che a questi lamenti
non trovero' sollievo, ma solo stenti
sia su monti o creste fascinose
che tra le fogne piu' disgustose.
E tra filosofi, operai o mendicanti
e tra le capre a zonzo col pastore,
o con lui stesso, nei desideri erranti
d'esser poeta invece che poesia.

La tela ricamata sulle vie
del nostro mondo
e' solo la mia indecifrabile firma.
 
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