sabato 17 dicembre 2011

Snö , this year too

It's time to have the first snowfall of this winter.
Right now, while I'm writing.
Sitting at my desk, writing, enlightened by a candle at my left.
I have just produced a whole page of handwriting. Something magic, considering that I write almost only on the keyboard of a computer.
I complete the page, look at my right and discover thousands of white flakes running like crazy for crashing against the soil of Stockholm.
"Wow! finally! It's magic, beautiful! Finally" I exclaim while opening the window.
Always look forward for the next snowfall,
Always be ready to let its magic to fullfill my eyes,
Always remember the previous one,
Never try, nor hope, to not let it melt away.

Caught in a frame ( I wish it was)

Half drunk, after a night in which I have almost no clue on what I have been doing, I sit in the tunnelbana.
Hopefully heading home, who knows.
It's crowded, even if it's night. Weekend, isn't it?
Strangely caught in the main stream and obscured by the alchool sitting in my veins, I have a sit and fall asleep. Although I think I'm pretty awake.
But no, I think "it's three stops till mine" when it's actually no more than one left.
And still I'm having a nap.
I wake up and see an image.
Still the same station. Still one left to get off the train. Still I am convinced I have a three-stops journey ahead.
A girl and a guy kissing, one of the door of the train being the picture frame.
Behind them, tons of unaware people walking towards their destinations, and the name of the train station shining. The complicate light system of the station is resulting in a simply perfect combination of rays, in which the two lovers are shining and the rest appears for what it is, that is meaningless. He's leaning towards her minute body, in a move resembling a moment of the jump of a delphin going out of the sea-water, the exact moment in which it's leaning out forward another delphin to let their faces to brush one against the other, caught in a frame.
I wake up believing I'm in a Cartier-Bresson photograph. Still, I'm in Stockholm in the middle of a friday night, and the train is waiting a never-ending moment, time-lapse.
Shit, rush opening your backpack, open it and grab the camera as fast as you can.
Done it, turn it on.
One moment to do all of that, one moment is gone.
The door closes. My "click" is barely enough to catch a noisy image of a door hiding a kiss. Fuck.

-"Too late" a man says, sitting in front of me, so far sleeping.
"Too late" he says, drunk sleepy man aware of my toughts.

-"Too slow" I reply, " I was wasting my time sleeping".

-"Wanna go back to the previous station?" he asks.

-"A moment is a moment", I state, while burying again my camera in my backpack.

My stop arrives then soon.
I get off, staggering to my place, my bed, my dreams, my next morning to be mumbled after a muddy night.

martedì 29 novembre 2011

Sulla linea di porta

Cosí, 13 anni dopo un giorno, vedo piú chiaro ció che sto facendo.
Che lo faccio per una promessa fatta quasi 13 anni fa e una passione e molte domande nate quasi insieme a me.
Oggi che un mio amico di nome Giovanni avrebbe fatto 32 anni, ché ne capiva mille volte piú di me di fisica e matematica, che io mi ritrovo alle prese con equazioni che non capisco e che lui avrebbe snocciolato tra una risata e un'altra.
Cosí mi riviene in mente l'ultima immagine che ho di lui.
Partita di calcetto, era sotto pasqua dell'ultimo anno se non sbaglio, e io giocavo come tutti i diciannovenni che pretendono di essere bravi ma non lo sono, con la mania di dribblare ancora e ancora.
L'ultima immagine, ricordo, è di me che dribblo un numero improbabile di avversari, che nei ricordi si moltiplica all'infinito, arrivo davanti al portiere, a un metro dalla linea di porta, e invece di appoggiare in rete la do di lato, alla mia destra, e Gió scarica in porta, da forse mezzo metro, un sinistro potente e poi mi guarda, sorriso gigante nel bel mezzo della sua barba folta dieci volte di piú di quella che ho io adesso.
E poi, d'un tratto, mi ritrovo qui a scrivere.
Buon Compleanno Gió.

lunedì 14 novembre 2011

Patagonia, Io.

Quando ero piccolo volevo andare in Patagonia, ma non ne ho mai capito il perché.

L'oceano dopo le montagne.
I ghiacci, i venti sferzanti.

Sterminata, di strade a perdersi nel nulla.
Di viaggi senza meta,
Di vuoti,
della meta che è viaggiare
e disperdere nel nulla le strade soffocanti.

E il deserto:
finalmente camminare
le distanze umane da percorrere
tra esseri mortali e viventi,
per capirle infinitesime
dell'attraversar me stesso.

Quando ero grande volevo tornare in Patagonia, e non ne sapevo il perché.

giovedì 10 novembre 2011

Entitá

Ci sono due entitá sole di cui mi fido.
Una è il mio zaino. È sempre con me, qualsiasi cosa stia cercando posso trovarla lí dentro, qualsiasi cosa mi serva posso custodirla lí dentro.
Mi caratterizza. Se sono in giro da solo ce l'ho comunque sulle spalle. Se lo presto a qualcuno, rimane comunque il mio zaino e anzi, la persona a cui l'ho prestato rischia di essere scambiata per Fabio. Se sono in giro in cittá vengo riconosciuto a causa del mio zaino piú che per la mia faccia.

La seconda entitá sono i miei movimenti.
Le mie mani che gesticolano ridicole si riconoscono in qualsiasi fotografia in cui compaio. Non mi lasceranno mai, e se mi ammalassi e rimanessi paralizzato diventerei con molta probabilitá il protagonista vivente di una di quelle foto. Per ricominciare poi a muovermi con lo stesso stile di sempre.
La schiena e il collo che si piegano nella loro rigidezza, magari per raccogliere un bacio.
Il procedere lento, arrancando tra mille attriti, invece di sgusciare via rapido nel viscido, perché la seconda di queste proprio non sono bravo a farla.

E i movimenti istintivi, quelli che, come nient'altro, per un attimo fanno piena luce su ció che ho dentro.
Il ritrarmi indietro quando non capisco la neve sotto i piedi, per la paura di ció che non conosco,
Il buttarmi avanti quando scio sul ripido, per la certezza di arrivare in piedi in fondo.
Il guardare negli occhi anziché altrove, perché mi piace di piú.
Per questo mi è inutile provare a cambiare il mio stile di sciata o provare a non guardare negli occhi, perché significherebbe un cambio molto profondo.

Poi ci sono le persone, ma quelle sono esseri viventi, non entitá.
Infatti non amo i miei movimenti, né il mio zaino.

La mia vita in sintesi: mi muovo con il mio zaino in mezzo agli altri.

mercoledì 28 settembre 2011

I miss the comfort of being sad - Quotes from Patagonia dreaming

Stanotte ho sognato che ero in aereo con mia madre e, avendo preso l'aereo sbagliato, atterravamo in una cittá del medio oriente, in mezzo a zone desertiche. Io proponevo di cercare al piú presto un volo per rimetterci in direzione della (sconosciuta) meta originaria, lei invece diceva di cogliere l'occasione e visitare la cittá mediorientale. Stupefatto, mi accorgevo che aveva ragione e subito ci mettevamo in marcia su vecchi binari che dall'aeroporto ci guidavano in sabbiosi quartieri periferici, attraverso zone povere e degradate, dai contorni sfumati come le cittá invisibili che non si é osato nient'altro che sognarle.

Tre notti fa invece sognavo di aver preso un altro volo sbagliato, ma stavolta con un amico. Essere finito per sbaglio in una cittá sudamericana non era, peró, per me, niente di cui preoccuparmi. Cosí, anziché svegliarmi, cosa che succede quando il sognatore non riesce piú a sostenere la tensione del sogno, ho potuto continuare il mio dolce sonno in un letto nel bel mezzo di Parigi.

Una settimana fa sognavo di dover traslocare in una localitá sconosciuta, passando per il Giappone. Mancavano cinque ore al mio volo e ancora non avevo cominciato a svuotare casa. Con le mani nei capelli, nel sogno, l'unica soluzione era quella di svegliarmi, ritrovandomi in un letto di Södermalm, e alzarmi per preparare un cappuccino.

Partiró sette giorni dopo l'equinozio d'autunno e torneró quando nel cielo sará luna nuova. Andró a solleticare la spina montuosa del sud, quella che si inarca sinuosa nella Tierra del Fuego geografica come le vertebre sacrali nella Terra del Fuoco umano.
Sono emozionato, non c'é che dire, e per molti motivi. Non ultimo, mi é improvvisamente nuova la sensazione di partire e lasciare qui qualcuno a cui comincio a tenere tanto.

All of that sit next to each other in my soul can suddenly shake and twinkle side by side in real life. From the moment they enter crying to the moment they leave shouting, they send me deep, intense, shivers. I miss the comfort of being sad, I find the craziness of being alive.

Ti penso e guarderó le montagne patagoniche anche con gli occhi di chi un giorno le scalerá, ossia i tuoi. Non preoccuparti per me.

"A salvarmi sará ancora una volta quella strana e indefinibile calma che sempre e soltanto nei momenti piú difficili ho potuto raggiungere."


(Quotes adapted from Nirvana, Tom Schulman, Walter Bonatti)

lunedì 12 settembre 2011

Riparto da Stoccolma

Non dormo stanotte. Non mi capita quasi mai. Ho l'energia di chi è sveglio e quindi è l'ora di ricominciare dopo piú di due mesi.

Stoccolma oggi era bella. Le mongolfiere galleggiavano nel cielo soleggiato sopra Södermalm e si muovevano nelle correnti aeree. La gente era appollaiata in ogni dove, negli angoli di sabbia o sulle rocce tra gli alberi in riva al mare, sui prati, sui pontili in legno o sulle vecchie sdraio tenute nello scantinato fino al giorno prima.

Ma ció accadeva due giorni fa.
Oggi Stoccolma era piovosa da farmi stare in casa ad occuparmi di mille cose indispensabili, o forse inutili se solo avessi avuto il coraggio di uscire, da far scorrere grigio il mio tempo, da farlo sembrare giá passato e senza speranza.
O forse era cosí un mese fa.
Oggi invece la cittá era piovosa, si, ma da farmi uscire lo stesso, e poi è stata in grado di accogliere il sole nel pomeriggio, il sole dei pomeriggi autunnali che si fa spazio tra le nuvole e si bagna nelle pozzanghere e si rotola nei tappeti di foglie rosse.
Stasera è buia, dell'oscuritá autunnale che ti invoglia a stare a casa a scrivere o leggere, e domani sará brillante, come tutti i domani di chi li aspetta impaziente e poi se li ritrova giá alle spalle.
Mi ritrovo a scrivere, prendere appunti sulle giornate dell'ultimo periodo e dimenticare quelli dei mesi ancora piú lontani nel passato.
Mi ritrovo che è ancora un altro giorno e ancora non sono al passo con i miei appunti, che non sapevo se scrivere di ieri o di un mese fa e ho giá un nuovo ieri da raccontare.
Mi ritrovo a lasciare pagine bianche prima dei nuovi racconti, e cosí avere spazio per terminare i vecchi.
Invece scriveró nella prima pagina bianca che trovo. In fondo ciò che voglio è ricominciare.
Non credi che sia abbastanza?

lunedì 6 giugno 2011

Transizioni di fase #4

Nell'ultimo mese ho iniziato un po' di cose, ma portato a termine forse nessuna. Un po' mi ci riconosco, in tutto ció. Mi occorre terminare una fase per lasciarne iniziare una nuova, inevitabile.
L'anno sull'isola è ormai terminato. Siamo agli sgoccioli e gli addii strascicati si confermano duri. L'anno è terminato proprio ora che quella che tutti ritengono la bella stagione è in pieno fiore. 25 gradi, cielo illuminato 24 ore al giorno e il mare che scorre appena sotto la vetrata della sala da pranzo, senza mai fermarsi.
Peró a me è piaciuto di piú l'inverno, incredibile.
Estate o inverno che sia, sono tanti e incredibili i ricordi che sono riuscito a produrre quest'anno e ognuno meriterà un racconto a se stante.

La mia barca che rimane a secco di carburante nel bel mezzo di una notte stellata e nel bel mezzo del mare.
Il montepulciano d'Abruzzo del 15 dicembre.
Il giorno in cui ho traslocato sull'isola, guidando un furgone in una strada che "ma dove cazzo mi trovo??". Il giorno in cui ho traslocato dall'isola, cioé oggi, guidando per una strada che conosco a memoria.
Il piede poggiato per la prima volta sul mare ghiacciato, in uno splendido giorno di sole di Dicembre, con Giacomo. Il mare ghiacciato, che non ne ho mai visto uno piú calmo.
Gli ospiti, e quelli che addirittura sono venuti a trovarmi piú di una volta, quelli che "dovresti rimanere a vivere lí" e quelli che mi hanno fatto sentire l'isola ancora piú mia.
Gli sci, la slitta al chiaro di luna, o con Sophie in un giorno di pieno sole che mi sembrava di essere in un film d'amore degli anni cinquanta, o sul mare che era ormai sciolto per piú di metá ma riusciva ancora a sostenere il nostro peso.
L'autostop in auto, barca e motoslitta, il pezzo in barca fatto dopo 11 ore di viaggio di ritorno da Sognefiord e quello al tramonto a passo di lumaca con Dario, per goderci ogni singolo raggio di sole.
Il mare che in due giorni si scoglie completamente e che invece per ghiacciarsi ce ne aveva messo piú di dieci, l'accetta che mi aiutava a farmi spazio nel mare ghiacciato per poter guidare meglio la barca.
Me in versione chiocciola, con il mio zaino che contiene ogni giorno casa mia, perché mai sapevo dove sarei andato a dormire la sera. La casa ristretta ad uno zaino e l'abitudine a poco piú dell'indispensabile.
Gli amici che mi hanno ospitato e mi hanno fatto sentire sempre a casa. E che rientrano nell'indispensabile, pur non potendo entrare nel mio zaino.
Le transizioni di fase, fuori e soprattutto dentro di me.
La nebbia sul mare, gli enormi blocchi di ghiaccio che sopravvivevano nel mare primaverile spinti alla deriva per gioco, insieme a Leon.
I miei coinquilini Tim e Lene, pazzi piú di me a decidere di vivere un anno sull'isola.
Le mille foto fatte, il sole che non tramonta mai e gli innumerevoli colori delle stagioni.

E ce ne sono altri. Come quel giorno che ho preso un passaggio in macchina e in barca da una famiglia padre-madre e due fratelli di meno di dieci anni appassionati di calcio e, invitato a giocare nel campetto in riva al mare davanti casa loro, non ho potuto fare a meno di accettare e di godermi una improvvisata e bellissima sfida due contro due e poi un ancor piú bello passaggi e tiri in porta. Una cosa talmente semplice che non la facevo da una vita.

O l'aria in faccia la mattina sulla mia barchetta, e anche al ritorno a casa, di pomeriggio o sera.

Sará che ho fatto una cazzata a vivere un anno qui, sará che adesso che devo andarmene a vivere da qualche altra parte vedo tutto deformato dalla lente dei ricordi.
E poi è facile scrivere adesso, che è passata l'una di notte ma l'orizzonte è sempre rosso (e io non mi ci abitueró mai a questo spettacolo della natura).
Sará pure che uno deve mettere la testa a posto prima o poi, e infatti io continuo a pensare che dovrei emulare Cosimo Piovasco di Rondó.
Sará che faró scelte sbagliate e molte altre cazzate.
Ma ho fatto bene.

venerdì 20 maggio 2011

24 Novembre, notte

Probabilmente adesso non sarei più capace di partorirli, ma mi sono riapparsi in mente tramite uno di quei meccanismi misteriosi che tutti conoscono e che, in un momento inaspettato, riportano chiara, limpida e presente qualcosa che invece ha vissuto nel passato. Dopo più di cinque anni riscopro miei questi pochi versi e mi sento di condividerli.

** 24 Novembre, notte **

Non m'è facile
il passar su questo pianeta,
il vuoto dei momenti, o l'intensità,
il perpetuo chiedersi del giorno dopo
e del precedente l'eterna mancanza.

Ogni sera turbini m'avvolgono
e pervadono me
naufrago tra'l cogliere l'istante
e il ricercar un senso umano all'universo,
all'infinito oltre l'azzurro della volta celeste
o al celeste infinito degli occhi d'una donna.

Vorrei toccar la terraferma
e allontanare la tempesta,
farmi cullar sulla battigia
lambito appena dall'onde del mare


Scoprendo, poi, di non poter fuggire l'attrazione dei flutti.

* * * * * *

lunedì 2 maggio 2011

Snö

Lo scorso 22 Ottobre avevo scritto a proposito della prima nevicata della stagione.
Mi chiedevo se sarei riuscito a ricordare anche dell'ultima nevicata dell'anno.
Il fatto è che la prima nevicata la riconosci subito, ma per riconoscere l'ultima ti tocca aspettare , e nessuno sa per quanto tempo.
Finora avevo infatti tentennato, senza celebrare le deboli nevicate di inizio Aprile. Cosí, quando la primavera sembrava giá inoltrata, ecco il colpo di coda dell'inverno nordico, il 2 di Maggio: prima un po' di grandine, poi qualche fiocco di neve che tentenna in aria, ondeggiando, e poi cade a terra. Dato che nessuno sa quanto si debba aspettare, io aspetto solo pochi secondi e dico di credere che questa si, sia l'ultima nevicata dell'anno qui a Stoccolma.

giovedì 14 aprile 2011

Isn't it nice, Norwegian ice?

"Si parte di nuovo. Sempre.
E come sempre non so dove andró."

Si, l'avrei iniziato cosí il racconto del nuovo viaggio, perché è ció che sento ed è la veritá. Ma non stavolta, mi sembra non funzionare.
L'avrei iniziato anche con questo titolo, che mi é venuto cosí mentre Beppe citava i Beatles, e invece lo riutilizzeró per un altro racconto.
Dovrei anche scrivere dell'organizzazione, delle peripezie, dei "ti vengo a prendere" o "ci vediamo lí", che prima o poi dimenticheró e in un qualche futuro si confonderanno con quelli di un altro viaggio. Ma mi rassegno, perché non potró ricordare tutto.
Presto saremo in macchina, tra boschi, laghi e verso i monti, i fiordi, nelle notti che si restringono sempre di piú fino a diventare una macchiolina nera nella luce diurna del nord. Presto saró sui monti a dividermi l'aria con i miei amici.
Intanto voglio appuntarmi una storia, che segna l'inizio del viaggio, che è una di quelle che dimenticherei e che non merita di essere dimenticata.

Qualche giorno fa ordino una quantitá spropositata di cartine della Norvegia, scala 1:50.000. Una quantità di mappe geografiche che mi faccio spedire da un Qualunqueshire della Gran Bretagna direttamente in Universitá. Farmelo spedire a casa sarebbe un casino, dato che l'indirizzo dell'isola non mi sembra dei piú affidabili.
Passo quindi qualche giorno ad attendere con ansia l'arrivo del pacco postale, che peró si ostina a non comparire nella mia casella postale. Fino ad arrivarmi nella piú improbabile delle maniere.
Sto seguendo un seminario quando il direttore dell'Albanova University, ossia del centro che ospita i dipartimenti di fisica, astronomia e biotecnologie della Stockholm University e del KTH, apre la porta e si affaccia nell'aula, come a non voler disturbare, con l'aria un po' smarrita. Lui è una di quelle persone che non gli daresti due lire, peró é il supermegadirettore e quindi deve sapere il fatto suo. Penso che stia cercando qualche professore, forse il mio capo, quando invece vede me, gli si illumina il volto, entra nell'aula camminando nella mia direzione e all'ultimo istante tira fuori da dietro alla schiena un pacco postale ("Le cartine!!", realizzo in un istante) e, con un sorriso tra il soddisfatto e rassegnato sotto i suoi baffetti, se ne va.
Non ho dubbi su cosa abbia pensato:
"Parte di nuovo. Sempre.
E come sempre non so dove andrá!"

sabato 9 aprile 2011

Giú il cappello e altri incipit per storie folli o di genialitá

Cosí termina il "Trittico dei giú", perché sulla Sicilia non posso far altro che iniziare a scrivere, senza terminare.

Un passaggio

Era sera inoltrata quando sulla circonvallazione della cittá, appena dopo una curva a gomito, una vecchia Panda rossa passava sfrecciando, inchiodava, faceva retromarcia e si fermava accanto a due passanti. "Volete un passaggio?" "No, grazie" "No, forse non avete capito: volete un passaggio?"
I due erano arrivati il giorno prima e in quella cittá non conoscevano nessuno.


I ruoli

C'è Gaetano, che è il padrone di casa. C'è Mary, che è un'amica di famiglia. Anzi, una parente. C'è Biagio, che è un amico molto stretto, anzi un mezzo parente. C'è Maurizio, che è il marito di un'amica di famiglia. Ci sono un'infinitá di altre persone che entrano ed escono. Abbia pazienza il lettore e le conoscerá tutte.


I mercati

Mi piace scrivere di ció che faccio, o che vedo, ma quel che segue non l'ho visto, né fatto. Ero impegnato, quel giorno, ero perso. Diamine, il tempo che non mi basta mai. Dovrei avere una doppia vita. Ma che dico! con una doppia vita perderei il doppio delle cose e il tempo lo dimezzerei una volta di più.
Peró ho scoperto un trucco: vedere con gli occhi degli altri, fare con le mani di chi mi sta accanto. Non raddoppia il mio tempo, ma aggiunge qualcosa. Cosí, in quel giorno, in quella mattinata, ci guadagnai l'esplorazione di un posto che vive nel regno dell'assurditá: il mercato del pesce.


Giú il cappello, o I cappelli di Mary

La signora aveva sull'appendiabiti due giacche vecchie, una camicia da notte e un'infinitá di cappelli. Un basco marroncino, una bombetta rossa, un cappello in paglia parasole, un berretto ricamato, un piccolo cilindro nero e uno piú grande, leopardato.
Ogni mattina scendeva le scale e, alla fine della sinusoide che univa i due piani della casa, diceva: "Giú il cappello!"

mercoledì 6 aprile 2011

Giú dal vulcano

Via Etnea parte dal mare e punta verso l'Etna. Si chiama così perché, se si proseguisse sempre dritti in direzione nord, si arriverebbe sull'Etna.

Nello zaino, partendo da Stoccolma, ci ho messo solo lo stretto necessario. Sci inclusi. Il resto sapevo che l'avrei trovato in loco: neve, montagne e persone con cui condividerle.

Riccardo mi dice che ha un amico che l'Etna lo conosce molto bene, che é li che porta sempre a spasso i suoi sci e che, guardacaso, si chiama anche lui Riccardo.
Lo chiamo mentre sto camminando per via Crociferi e in un minuto mi dà gli orari degli autobus per raggiungerlo a Zafferana Etnea e da lì andare sul Vulcano.
In un altro minuto mi ritrovo che è sabato mattina, che scendo per via Etnea con gli sci in spalla e le vecchiette che mi guardano incazzate, che salgo sull'autobus per fare la tratta Catania-Zafferana Etnea e che scendo nella piazza di questo paesino siciliano. Più che una piazza è una enorme terrazza sul mare a circa seicento metri di altezza, con un paio di signori che squadrano i miei sci appoggiati sulla panchina dove forse sono soliti sedersi.
Riccardo mi passa a prendere con la sua macchina e la mezzora che separa la piazza di Zafferana dalle pendici innevate del Vulcano è abbastanza per conoscerci e capire che passeremo una grande giornata sulla neve.
Sole da stare in maniche corte, neve perfettamente trasformata, primaverile, e nessun'altra meta che non sia quella di andarsene a spasso sull'Etna, di conoscerne i mediterranei e sterminati orizzonti che si aprono al di lá delle sue creste fatte di lava.
Noi puntiamo verso la Montagnola e da lassù vediamo la Calabria e oltre, la valle del Bove che si distende verso oriente. A Nord Le Eolie rimangono oniriche al di là delle nuvole.
Penso a come sia disinteressato a raggiungere la cima del Vulcano, o una cima qualunque. Quanto un posto possa addirsi ad un giorno della mia vita, non sta scritto nella sua altitudine.
Scendiamo nella valle che costeggia i crateri Silvestri con una magnifica sciata primaverile, per poi risalire il cratere Silverstri superiore.
E sciamo sul bordo di questo cratere, sopra un effimero e bianco manto nevoso che copre e scopre il fondo di nere pietre laviche.
Giú dal vulcano, giú verso Zafferana Etnea, saluto Riccardo con la certezza che ci rivedremo. Ed è ancora mezzogiorno, giú verso Catania.

Giú per via Etnea

Nell'atlante geografico Catania è un bel po' più giù che Stoccolma.
Allora metto l'essenziale nello zaino e comincio la discesa.


Catania secondo me si divide in due parti: Via Etnea e non-Via Etnea. E secondo me Via Etnea è una via in cui c'è tutto, tranne ciò che si può trovare solo in non-Via Etnea. C'è il mare, la montagna, c'è il miglior cibo dell'universo conosciuto, le auto più folli guidate dagli indigeni spavaldi e quelle più tranquille, condotte dai vecchietti con la coppola e le due mani sul volante con i gomiti piegati all'inverosimile. C'è un elefante con le palle, c'è un fiume di gente e ci siamo anche io e Sophie, quando non siamo in non-Via Etnea. Ci sono una varietà di fenomeni tali che io d'un tratto capisco perché la letteratura Siciliana sia così ricca, capisco che, se sapessi farlo, potrei scrivere un libro su questa via. Invece ne riporto solo una piccola storia.

Un mercoledì sera ci prepariamo alla solita uscita, attraversiamo la circonvallazione e cominciamo la discesa dal punto più alto di Via Etnea.
Attraversare la circonvallazione a piedi non è banale, specialmente per chi vive a Stoccolma, dove anche un bimbo di due anni può attraversare la strada senza dare la mano alla mamma. A Catania la mano la devi dare, eccome!
La discesa per Via Etnea è interminabile, ma noi ci mettiamo in testa di farla tutta e arrivare fino al mare, che di giorno si staglia alla fine della via. Superate piazza Università e piazza Duomo pensiamo di esserci, ma invece andiamo a finire nel parcheggio degli autobus, semideserto, dove la metà non deserta è costituita da un gruppo di autisti degli autobus i quali se ne stanno a chiacchierare in tranquillità fino a che io non gli chiedo: "Scusate, ma come ci arriviamo sul mare?".
Chiaramente comincia un diattito serio su come giungere al mare, dove andare, con quale autobus, come tornare, e in men che non si dica una decine di persone sono coinvolte con i loro pareri, idee e suggerimenti.
Questa bellissima scena teatrale culmina e finisce con uno degli autisti che ci dice: "Ma perchè non venite in macchina con me? abito ad Aci Galatea e sul lungomare ci devo passare, vi lascio nella zona dei ristoranti."
Io accetto come se fosse la cosa più naturale del mondo, Sophie si ritrova catapultata sul sedile posteriore di una macchina sconosciuta senza capirne il perché.
Diretti verso il lungomare, zona Piazza Europa, mondo non-Via Etnea, dopo meno di un minuto squilla il telefono dell'autista e nel silenzio calato all'interno della sua Punto rimbomba il suo timore di parlare esplicitamente con chi gli sta chiedendo di tornare indietro per andarla a trovare. Le amanti esistono in tutto i mondi e quello degli autisti di autobus non fa eccezione.
Ma, come ogni buon autista, fa comunque il suo "dovere": ci porta sul mare davanti ad un bel ristorante, prima di dissolversi nella sua avventurosa serata.
A noi invece tocca mangiare pesce in riva al mare. Prima di risalire Via Etnea e aspettare di ridiscenderla il giorno dopo.

mercoledì 9 marzo 2011

Intermezzo - continuazione

Scrivevo, poco piú di un mese fa, che nuovi viaggi erano all'orizzonte e si stavano delineando. Ora aggiorno tutto ció perché scrivo mentre sono in viaggio, nel Sud, e non appena il prossimo viaggio si è ben stagliato sulla mia strada: Norvegia, primavera 2011. Gli stimoli, invece che dai libri, sono stavolta venuti in maniera essenziale dalle persone che mi circondano.
Scrivevo anche che desideravo viaggiare su piccole distanze, ed è ció che succede quando ci si muove in sci. Piú che piccole, le distanze saranno umane.
L'ultimo aggiornamento è sulla solita ed inevitabile questione del cambiare ed evolversi. Scrivevo che non avrei dovuto avere paura e sto pian piano proseguendo lungo questo cammino.
Al prossimo intermezzo dunque, non appena la polvere alzata a causa dell'alta velocitá del viaggio si sará ulteriormente depositata a terra.

martedì 15 febbraio 2011

Di basse temperature, spiagge e millepiedi abbronzati

Vado a dormire con -10 e mi risveglio con -15 gradi, misurati sia ad occhio, da come il Sole brilla fuori dalla finestra, che con il termometro. È una temperatura che dà quasi meno freddo che i
-2 o -3, ma solo per qualche minuto, ovvio.

-15 e le strade colme di neve. A Stoccolma pare che la temperatura misuri in qualche maniera l'altezza a cui ci si trova. A -15 si cammina su uno spesso strato di neve e ghiaccio. A 0 gradi si cammina in genere sui marciapiedi, o sul mare ancora ghiacciato. A 15 gradi invece si potrebbe addirittura scendere al di sotto del livello dell'acqua marina.
 A -15 nell'arcipelago il mare non c'è e ci sono solo spiagge con sabbia di neve. Se uno vuole andare al mare, semplicemente non ci arriverà mai, a meno di camminare fino alla fine dell'arcipelago e sperare che non tutto il Baltico sia ghiacciato. Una bella camminata, da spaccarsi le gambe.



Il millepiedi abbronzato invece mi ha affascinato non appena l'ho visto, ossia non appena ho visto queste due parole che sono finite l'una accanto all'altra per chi sa quale motivo, e alle quali si sono ancorate tutte le altre che sono quaggiú.
Non sapendo quale fosse il suo colore, perché il suo nome dice solo quanti piedi ha, il millepiedi decise di andare in spiaggia e prendere il sole. Però la spiaggia era così grande che lui, quando vi ci si trovò, non seppe decidere che posto scegliere per stendersi al sole. Ogni posto sembrava buono, migliore del precedente e ogni volta che stava per fermarsi pensava che magari dietro l'angolo ce ne potesse essere uno ancora più accogliente. Era capitato in quella spiaggia che invece è l'arcipelago, e così, preso dalla ricerca del suo luogo ideale, continuò a camminare per tre giorni e tre notti. Anzi, per cinque giorni e quattro notti, dato che questa storia dei tre giorni l'aveva già sentita in molte storie e lui voleva fare di meglio.
Poi si fermò, perché era stanco e perché in quel punto la spiaggia era davvero incantevole.
 La spiaggia di neve lo incantò a tal punto che cadde addormentato all'impiedi, soddisfatto della sua ricerca, e la quinta notte i cristalli di neve cominciarono ad avvolgere le sue zampine e poi il suo busto e lui, che si sentiva coperto, non si accorse nemmeno del momento in cui la sua vita evaporò nel ghiaccio che lo avvolgeva. 
La coperta di ghiaccio cristallino lo avvolse per giorni, forse mesi, e il suo pigmento fece in tempo a colorarsi e ad inscurirsi, per poi rimanere così colorato.
Rimase così finché il Sole ebbe la meglio sul ghiaccio e cominciò a dividere, man mano, la superficie del mare in piccoli pezzetti. Le sue mille gambine finirono su mille pezzi differenti e, così abbronzate, migrarono nelle correnti dell'arcipelago.
 La migrazione di alcune di esse finì dentro la bocca di qualcuno di quei pesci impavidi che vivono nelle correnti fredde del Baltico, ma molte altre, esattamente quattrocentoventuno, si fermarono in quattrocentoventuno posti differenti dell'arcipelago, attaccandosi al fondale laddove questo è così alto da non lasciar passare acqua al di sopra di esso, ma non tanto alto da poter essere chiamato isola. Laddove non è ancora isola per così poco quanto una gambina di millepiedi.
Si fermarono lì, e dopo di loro seguirono piccoli granelli di sabbia e poi breccioline, pietruzze più grandi, aghi di pino e foglie di betulla. Terminarono lí la la propria corsa. Lì diedero vita a quattrocentoventuno isole di una roccia che ancora adesso è più scura di quella di tutte le altre isole dell'arcipelago.
La vita che prima era evaporata nel ghiaccio si diluí cosí in queste quattrocentoventuno nuove macchie nel mare stoccolmese, che continuano a crescere giorno dopo giorno e continuano ad essere abitate da una colonia di millepiedi neri.

Di Binari, Neve, Pale e Spazzanevi

Di Binari (giovedì dieci febbraio duemilaundici)
Stavo aspettando la metro al riparo sotto la pensilina di una stazione di periferia.
Affianco a me un vecchio, vestito malandato e con le stampelle, i piedi non capisco se fasciati, o con degli scarponi, sguardo perduto. (Che poi questa descrizione fa schifo, dovrei trarne un personaggio per qualcosa di più esteso per rendergli merito).
Insomma questo prende le stampelle e comincia a sbatterle, a fare rumore, a fare casino, a richiamare qualcuno o qualcosa mentre la metro sta arrivando.
Non ne vedo il motivo, e poi si. Un piccione si alza in volo dal suo nascondiglio in mezzo ai binari, vola come ubriaco sotto la pensilina e poi al di là di essa, il vecchio rimette giù le stampelle e vi si appoggia nuovamente. Io per un attimo capisco, poi salgo sul treno con altre decine di persone verso il centro della città.

Di Neve (venerdí undici febbraio duemilaundici)
Col cazzo che le nevicate al nord sono scontate e non dicono niente. Cascano trenta centimetri di neve e Stoccolma cambia faccia, che d'estate sembra una mezza fighetta col make-up e adesso una donna tutta estrogeno. Piú interessante, quindi.
Le fighette infatti scarseggiano oggi in giro, ma sono certo che usciranno nel weekend con le loro minigonne, a far prendere aria alle loro gambe.
Tutto diminuisce, con questa neve, la velocitá nei movimenti dei passi, i rumori urbani, il ritmo del borgo. Ma i vecchi continuano a camminare, nei cumoli di neve e sul ghiaccio vivo, che non mi spiego come non caschino tutti per terra come i bambini alla fine del girotondo. Camminano tutti imbacuccati, con le scarpe chiodate, con i bastoni, con le borse della spesa e senza alcuna incertezza, con l'unico ritmo che rimane davvero immutato.

Di Pale e Spazzanevi (sabato dodici febbraio duemilaundici)
Autobus bloccati dalla neve e bella figura di merda l'efficienza nordica. Non mettete scuse, era una nevicata da niente, parliamoci chiaro.
Ecco che è il momento per tirare fuori tutte le specie di strumenti per spazzare la neve.
Pale per ripulire i gradini e gli spazi antistanti i portoni, perché accappottarsi appena usciti di casa non fa piacere.
Spazzanevi di tutte le taglie che girano per la cittá, e scommetto che chi li guida si diverte un sacco.
Pale grandi, di quelle che si spingono, che in realtá sono delle slitte, da usare per ripulire marciapiedi e per tracciare i sentieri marini che portano all'Isola. Perché la neve non è mare e, anzi, pesa sopra il ghiaccio salato che la divide dall'acqua.
Tutto il resto rimane coperto, si scoprirá piú in lá, in primavera.

Inizi

Chiunque sa che l'inizio è un momento speciale in qualsiasi evento. Per la tranquillitá di avere abbondante tempo da poter attraversare, per la varietá di possibilitá, che si incontreranno in questo passaggio.
Anzi, no. Queste caratteristiche vengono apprezzate a posteriori. L'inizio è invece speciale perché significa trovare un punto di vista differente. Ma, piú di tutto, perché è nascita, fenomeno che puó essere spiegato e analizzato tecnicamente, ma per il resto puó essere solo ammirato. Perché la vita sia dentro le cose, nessuno lo sa.

Ora che scrivo mi trovo ad un talk di uno dei fondatori della magnetoidrodinamica. Proprio adesso sta raccontando come e quando vennero scoperti i campi magnetici e tutto ció che poi ne seguí, le equazioni di Maxwell e le altre amenitá che mi passano davanti agli occhi ogni giorno.
Pare che i campi magnetici vennero scoperti in Cina un migliaio di anni fa. Qualcuno si rese conto che qualche oggetto funzionava come ció che oggi è conosciuto sotto il nome di "calamita", e se ne chiese il perché. Poi, dopo un migliaio di anni, vennero scoperti i campi magnetici nelle stelle e in ció che c'è nello spazio in mezzo a queste, nelle galassie e negli spazi intergalattici. Alcune persone conoscono le caratteristiche di questi campi, qualcun altro è perfino in grado di descriverne i cambiamenti.
Nessuno sa come e perché nascano.

venerdì 4 febbraio 2011

Intermezzo

L'anno scorso il biglietto del treno per andare alle Lofoten decisi di comprarlo così, dal nulla, quasi solo per aver letto un bellissimo libro.
Quest'anno le cose andranno forse un pò diversamente. Forse ritorneró alle Lofoten, forse andró altrove. Gli stimoli che vengono dalla mia libreria sono molteplici, cosí come le idee che mi passano per la mente. Peró sono ancora nella fase in cui tutto ció crea un bel po' di polvere e quindi, come al solito, devo solo aspettare un po' per vedere tutto in maniera piú limpida.
Credo, peró, che continueró a viaggiare su piccole distanze e poi concentrarmi su un solo viaggio che richieda un grande spostamento, soprattutto in termini culturali, in modo da prepararmi al meglio.
Dette queste ovvietá, cosa c'é di nuovo? Niente, o cosí pare. Nei prossimi mesi sará il caso di non aver paura di cambiare qualcosa e di non aver paura di ammettere quando qualcosa sará cambiato. Tutto come al solito.

mercoledì 19 gennaio 2011

Ancora in sci, ancora sul mare

Pensavo di aver esaurito, almeno per un po', l'argomento mare ghiacciato, e invece no. Sarà che stasera non avevo con me la mia macchina fotografica, in sosta forzata dal meccanico. Insomma, in qualche maniera dovevo pur appuntarmi da qualche parte il passaggio sul mare di stasera e allora eccomi qua.

Gli ingredienti sono ben noti.
Un bosco da attraversare nei dintorni di Stoccolma.
Un mare da attraversare nell'arcipelago di Stoccolma.
Temperature al di sotto dello zero.
Qualche giorno di temperature al di sopra dello zero.
Un paio di sci.
Una lampada frontale.
Una Luna piena.
Un'isola dell'arcipelago.

Tempi: Circa trenta giorni per la preparazione del mare, circa quaranta minuti per la realizzazione.

Preparazione: Dopo aver congelato per bene il mare, esporlo per tre o quattro giorni a temperature di 2 o 3 gradi centigradi in modo da formare un sottile strato acquoso al di sopra dello strato gelato. Si raccomanda, nell'attraversarlo durante tali giorni, di evitare i punti fragili in cui possono venire a formarsi dei buchi, al fine di non rovinare lo strato solido. Inoltre si riponga in prossimità del tratto marino un paio di sci da fondo.

Realizzazione: Si comincia con l'attraversare il bosco nottetempo. Nell'inverno Stoccolmese ciò non comporta eccessive difficoltà in quanto la notte, a metà gennaio, inizia circa alle 15.30. Una delle peculiarità della ricetta consiste nel compiere questo attraversamento durante una notte di Luna piena.
Accertarsi anche che il cielo sia limpido a seguito di una giornata soleggiata e con temperature al di sotto dello zero centigrado. Durante l'attraversamento del bosco ci si rende conto che l'uso della lampada frontale è del tutto superfluo grazie alla limpidezza del cielo e alla luminosità della Luna piena. Di conseguenza si spegne la lampada frontale.
Si giunge quindi in riva al mare. Arrivati in prossimità del molo sito su una sponda del tratto di mare da attraversare per giungere all'isola desiderata, si esegue la procedura tipica. Si calzano gli sci da fondo e si inizia l'attraversamento. Grazie alla particolare preparazione del mare, come su riportato, ci si troverà a scivolare su uno strato solido di ghiaccio vetroso. Sarà anche possibile osservare, qua e là, qualche macchia nera in corrispondenza di aperture del manto ghiacciato venutesi a formare a causa delle temperature dei giorni precedenti.
A questo punto, spingersi usando i bastoncini e constatare come, con una leggera spinta, si possano percorrere vari metri in totale agilità.
Giunti a metà del tragitto marino, fermarsi e alzare lo sguardo verso oriente (o comunque verso la Luna, a seconda dell'ora della notte nella quale la ricetta viene realizzata). Rendersi conto che il riflesso della Luna sul ghiaccio si sperde a vista d'occhio. Ammirare le sfumature della luce riflessa dal ghiaccio che mostra come su tutto il mare ci sia ghiaccio vivo. Esclamare "minchia" o "cazzarola" o un'imprecazione a scelta a seconda del proprio gusto. Ricordarsi che ci si trova in mezzo al mare di notte da soli e che è meglio raggiungere la terraferma. Aggiungere un pizzico di strizza, altresì nota come cacarella, o paura, per accelerare il ritmo.
Una volta poi raggiunta l'isola, completare il percorso in sci fino a casa.

sabato 15 gennaio 2011

In sci, fino a casa

Venerdí 14 Gennaio 2011, ore 23: esco dal mio ufficio, in universitá. Fuori ci sono -9 gradi centigradi e Simon mi scatta una foto perché io sono cosí conciato:



La foto spiega tutto, tranne il fatto che in spalle avessi il mio solito zaino.
Esco con i miei sci da fondo in mano e gli scarponcini ai piedi, prendo la metro e poi il bus, cammino attraverso il bosco e giungo in riva al mare. Dopo un mese sono di nuovo qui sul mare ghiacciato e ammetto che mi fa impressione. È mezzanotte, tutt'attorno non c'è nessuno, nient'altro che buio e un po' di luce diffusa dalle nuvole. A piccoli passi, insicuri nel gesto ma certi nell'intenzione, mi avvicino al mare, mi fermo sul bordo del pontile che si spinge piú in lá nell'acqua che ora è ghiaccio e indosso gli sci. Penso che, in effetti, si, potrei cacarmi sotto, ma non ce ne sarebbe ragione, dato che il ghiaccio è ben solido. Accendo la lampada frontale e mi incammino sul mare, sci ai piedi. Il tragitto mi sembra lungo e faticoso, anche se sono i soliti dieci minuti, anche meno, come piú corti del solito sono i dieci minuti che mi servono per attraversare l'isola e arrivare a casa. È un tragitto che ricorderó a vita. Anche perché con gli sci da fondo non sono bravo e trovo pure la maniera di accappottarmi in un tratto del tutto piatto.
Arrivo a casa sci ai piedi per la prima volta in vita mia, in riva al mare.
È mezzanotte e mezza. Penso a come sono vestito, a cosa ho fatto, mentre entro in casa e comincio a spogliarmi.
Poi mi tolgo lo zaino dalle spalle e ricordo cosa c'è dentro.
Nient'altro che salsicce e mozzarelle molisane, e cinque litri d'olio extravergine d'oliva artigianale che hanno viaggiato con me da un remoto posto del sud Italia fino a una sperduta isola dell'arcipelago di Stoccolma.
 
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