martedì 29 novembre 2011

Sulla linea di porta

Cosí, 13 anni dopo un giorno, vedo piú chiaro ció che sto facendo.
Che lo faccio per una promessa fatta quasi 13 anni fa e una passione e molte domande nate quasi insieme a me.
Oggi che un mio amico di nome Giovanni avrebbe fatto 32 anni, ché ne capiva mille volte piú di me di fisica e matematica, che io mi ritrovo alle prese con equazioni che non capisco e che lui avrebbe snocciolato tra una risata e un'altra.
Cosí mi riviene in mente l'ultima immagine che ho di lui.
Partita di calcetto, era sotto pasqua dell'ultimo anno se non sbaglio, e io giocavo come tutti i diciannovenni che pretendono di essere bravi ma non lo sono, con la mania di dribblare ancora e ancora.
L'ultima immagine, ricordo, è di me che dribblo un numero improbabile di avversari, che nei ricordi si moltiplica all'infinito, arrivo davanti al portiere, a un metro dalla linea di porta, e invece di appoggiare in rete la do di lato, alla mia destra, e Gió scarica in porta, da forse mezzo metro, un sinistro potente e poi mi guarda, sorriso gigante nel bel mezzo della sua barba folta dieci volte di piú di quella che ho io adesso.
E poi, d'un tratto, mi ritrovo qui a scrivere.
Buon Compleanno Gió.

lunedì 14 novembre 2011

Patagonia, Io.

Quando ero piccolo volevo andare in Patagonia, ma non ne ho mai capito il perché.

L'oceano dopo le montagne.
I ghiacci, i venti sferzanti.

Sterminata, di strade a perdersi nel nulla.
Di viaggi senza meta,
Di vuoti,
della meta che è viaggiare
e disperdere nel nulla le strade soffocanti.

E il deserto:
finalmente camminare
le distanze umane da percorrere
tra esseri mortali e viventi,
per capirle infinitesime
dell'attraversar me stesso.

Quando ero grande volevo tornare in Patagonia, e non ne sapevo il perché.

giovedì 10 novembre 2011

Entitá

Ci sono due entitá sole di cui mi fido.
Una è il mio zaino. È sempre con me, qualsiasi cosa stia cercando posso trovarla lí dentro, qualsiasi cosa mi serva posso custodirla lí dentro.
Mi caratterizza. Se sono in giro da solo ce l'ho comunque sulle spalle. Se lo presto a qualcuno, rimane comunque il mio zaino e anzi, la persona a cui l'ho prestato rischia di essere scambiata per Fabio. Se sono in giro in cittá vengo riconosciuto a causa del mio zaino piú che per la mia faccia.

La seconda entitá sono i miei movimenti.
Le mie mani che gesticolano ridicole si riconoscono in qualsiasi fotografia in cui compaio. Non mi lasceranno mai, e se mi ammalassi e rimanessi paralizzato diventerei con molta probabilitá il protagonista vivente di una di quelle foto. Per ricominciare poi a muovermi con lo stesso stile di sempre.
La schiena e il collo che si piegano nella loro rigidezza, magari per raccogliere un bacio.
Il procedere lento, arrancando tra mille attriti, invece di sgusciare via rapido nel viscido, perché la seconda di queste proprio non sono bravo a farla.

E i movimenti istintivi, quelli che, come nient'altro, per un attimo fanno piena luce su ció che ho dentro.
Il ritrarmi indietro quando non capisco la neve sotto i piedi, per la paura di ció che non conosco,
Il buttarmi avanti quando scio sul ripido, per la certezza di arrivare in piedi in fondo.
Il guardare negli occhi anziché altrove, perché mi piace di piú.
Per questo mi è inutile provare a cambiare il mio stile di sciata o provare a non guardare negli occhi, perché significherebbe un cambio molto profondo.

Poi ci sono le persone, ma quelle sono esseri viventi, non entitá.
Infatti non amo i miei movimenti, né il mio zaino.

La mia vita in sintesi: mi muovo con il mio zaino in mezzo agli altri.
 
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