martedì 31 dicembre 2013

Courmayeur a tallone libero

Sulle piste di sci a fine anno c'è un gran casino che non mi va di raccontare.
Però io sto imparando a sciare a tallone libero e in questo gran casino sono uno dei pochi.
In questo gran casino non posso interagire con nessuno. Tutti corrono, così impegnati a scendere il più velocemente possibile a valle. L'unico con cui mi scambio un gesto di saluto è un anziano. Siamo in un fuoripista insieme. Lenti. Entrambi a tallone libero. Io gli passo davanti, con una curva ampia. Mi fermo. Lo guardo e ci sorridiamo, alziamo una mano in segno di saluto. Riparto verso valle, concentrandomi per sentire ogni curva sotto i piedi e inginocchiarmi sulla polvere che ricopre questi monti.
Poi, due argentini, anzi quattro. In telemark cercano di portare verso valle su una pista affollatissima i due loro figli, in braccio. Mi fermo affianco a loro. Ci salutiamo. Gli chiedo se hanno bisogno di aiuto. No, grazie, ma due chiacchiere fanno sempre bene. Sono di Mendoza, nel deserto alle pendici dell'Aconcagua. "Non ti preoccupare, scendiamo all'argentina." Sembra ancora possibile riconoscersi, seppur in mezzo a tutto questo gran casino.
E, in seggiovia, due americani del Colorado che hanno un agriturismo in toscana. Mi dicono che la neve del Colorado e dello Utah è impressionante, ma le montagne di qui sono uniche. Ci scambiamo gli indirizzi email. Dopo due discese li incontro di nuovo sulle piste. "Vai benissimo!" mi dicono, "e hai iniziato a fare telemark da così poco! Bravo!". Peccato, però, che non avessero visto affatto come fossi sceso, quanto e come mi fossi inginocchiato, a che velocità fossi andato. Avevano sparato una cazzata come un'altra, insomma, in mezzo a tutto questo gran casino.

Mi sa che anche il prossimo anno lo farò fuori pista, si. E a tallone libero. Qualcuno vuole unirsi?

In treno verso nord


Mi piace viaggiare in treno in Italia più che altrove e stavolta ne ho capito il perché.
Perché viaggiando verso nord, o sud, si respira la diversità e il contrasto tra ogni chilometro e il successivo.
Il 29 Dicembre parto da Termoli, saluto i miei genitori sui binari, e il mare molisano, pochi metri più in la. Subito si stagliano le montagne innevate dell'Abruzzo, a nord-Ovest. La Maiella, Il Gran Sasso. sublimi. Si stagliano sui pendii ondulati delle campagne che arrivano sull'Adriatico. Poi le Marche. Passiamo sotto il santuario di Loreto e infiniti paesini che diventano subito Emilia-Romagna, Bologna e poi la pianura Padana. Cambio treno a Milano e sono sul treno verso Chivasso, e poi Ivrea e Aosta. In perfetto orario. Le Alpi cominciano a stagliarsi all'orizzonte.
È quasi il tramonto. Il Monte Rosa, il Cervino e il Monte Bianco sono sovrastati da una linea rosso fuoco e mi appaiono come un profilo elegante e perfetto, logico, umano e trascendente. Venere è l'unica luce che si vede nel cielo. Si sta abbassando sull'orizzonte per andare a nascondersi dietro questi monti. È la dea della bellezza e non potrebbe far altro che tuffarsi in questo viaggio, in questa terra da cui sono nato e che mi ospita. 
Nella mia vita, questo è il posto più bello del mondo. 

Sulle nevi di casa a tallone libero


Ogni anno, da 15 anni, torno a casa per le feste di Natale.
Ogni anno spero ci sia neve da sciare sui pendii di casa.
Ogni tanto c'è e io mi ci vado a divertire, insieme a qualche amico.
Quest'anno, il 27 Dicembre, io e mio padre andavamo in macchina verso la nostra casa in campagna, alle pendici del Matese. Dopo due giorni di brutto tempo il cielo cominciava ad aprirsi e rivelava quel pezzo della cresta del Matese che corre da Monte Mutria fino a Campitello matese: bianco, carico di neve che risplendeva sotto il sole del primo pomeriggio. Era chiaro che il giorno dopo saremmo dovuti andare a sentirla sotto gli sci e a ricostruire la coppia sciistica Del Sordo&Del Sordo, che proprio su quelle nevi cominciò la propria esistenza nel 1990, o nel 1991, non ricordo.

Così il 28 dicembre, dopo aver raccattato sci, guanti, giacche e quant'altro in borse varie disperse tra armadi di casa e garage, eccoci diretti, mio padre ed io, in direzione Matese, con in testa di fare due ore di sci.
Per me è uno dei primi giorni di sci a tallone libero. "Telemark", proprio come una regione del sud della Norvegia. È il primo giorno di telemark sulle nevi di casa, a poco più di mezzora di macchina da Campobasso. Mi sembra un nuovo inizio. Quella dell'inizio è una sensazione particolare che non sento possa essere forzata. Una di quelle che c'è o non c'è. Bene, quel giorno c'era.
Eppure erano due semplici ore sulle piste dietro casa. Mio padre era un po' teso, forse per le piste affollate, forse perché da quasi due anni non usava scarponi e sci, forse perché sapeva che il giorno dopo io sarei ripartito verso nord. Sulla prima seggiovia, La Piana, occorreva sciogliere il ghiaccio.
Così mi è venuto spontaneo osservare un piccolo e lieve pendio, pendio dove facemmo le prime curve sugli sci tanti anni fa. Ora non era nemmeno battuto, al lato della pista Lavarelle. Un angolino pieno di ricordi, soprattutto per me che, appena messi gli sci, anni fa, dissi "Non se ne fa niente, smetto, non è per me." Insomma, dico a mio padre: Guarda quel pendio, ci sembrava così impossibile fare due curve lì, così faticoso e interminabile risalirlo a scaletta, ed invece non è nient'altro che una sputata insignificante, se visto da quassù."
Arrivati in cima, inizia per me la prima discesa a tallone libero sul Matese. Mi piace scendere a tallone libero perché mi costringe ad inginocchiarmi ad ogni curva, come una genuflessione alla montagna che mi ospita, alla neve che mi accoglie, al cielo perché ne mandi dell'altra. Inizio la discesa e sento di scendere bene, fluido, seppur sulle pendenze dolci della Lavarelle. Mi sento così sicuro che passando affianco al pendio dove iniziai a sciare decido che, beh, è un posto adatto per fare le prime curve fuoripista sul Matese, e mi ci butto. Mi accoglie bene: alla prima curva cado, che è pure la mia prima cauda a tallone libero. Cado e penso che pure su un pendio del genere ho ancora da imparare. E l'avevo definito una sputazza!
Mio padre intanto fa le sue curve concentrato per ritrovare movimento e sensazioni. e per non cadere, certo.

Non potrebbe essere altro che una storia di cadute, questa.
La caduta che poi ho fatto alla fine del canalone della Del Caprio, proprio quando sentivo di averne capito la giusta interpretazione mi parte lo sci sinistro, mentre cercavo di inginocchiarmici su. Mi parte e mi rigiro su me stesso, gli sci mi tirano a valle nella loro corsa sulla pista, io mi rigiro e mi fermo e, si, è ovvio che io debba cadere su questi pendii. Ora è chiaro.
La prima sciata telemark, pochi giorni prima, sulle nevi di Roccaraso con il mio compagno di sogni a tallone libero, Dario, era stata di controllo. Ero riuscito ad evitare cadute riuscendo a restare sulle mie gambe per tutto il tempo. Ora, invece, mi ritrovo col culo sulla neve.

Caduta uguale poi nel canalone dell'Anfiteatro. Lo sci sinistro ancora non riesco a controllarlo quando sono inginocchiato, non riesco a sentire la pressione sotto la punta del piede, mi manca ancora la sensibilità. E di nuovo gli sci prendono il sopravvento e mi tirano a valle come io non vorrei. Mi rimetto all'impiedi, respiro. Sono tutto integro, contento. Mio padre è a fare le sue curve da qualche altra parte, io riprendo con il mio movimento di genuflessione tutto da imparare.

Il tempo, poi, di mandare a cagare un ragazzo che cade a folle velocità e quasi mi investe, ed è già ora di tornare verso casa. Il pranzo ci aspetta. 
Ci lasciamo alle spalle la nostra montagna, innevata e soleggiata e, davanti, le nuove curve su questi pendii che ci aspettano in futuro.

giovedì 26 dicembre 2013

Su come prendere un aereo - edizione parigina

Altro episodio della saga: come prendere un aereo.

Decollo previsto: ore 11:55, Aeroporto di Orly, del 20 Dicembre 2013.

Sveglia programmata: 7.50
Mi chiedo, appena sveglio, perché abbia messo la sveglia a quell'ora.
Ore 7.55: Mi ricordo che devo prendere l'aereo per tornare a casa.
Ore 7.56: Decido che è ancora troppo presto per alzarmi.
Ore 8.40: Decido che forse è ora di alzarmi dal letto.

Ore 8.45: Risoluzione di problemi esistenziali sotto la doccia.
Ore 8.50: Risolti i problemi esistenziali, decido di passare a quelli pratici relativi alla preparazione del viaggio.

Ore 8.55: Un caffè aiuta a concentrarmi sui problemi pratici. Sorseggiarlo contemplando la città come appare dalla mia finestra aiuta a godermi il caffè.

Ore 8.57: È il caso di cominciare a vestirsi.

Ore 8.59: è il caso di cominciare a pensare di preparare i bagagli. Avrei dovuto farlo ieri sera, ma non mi andava, come sempre.

Ore 9.00: Faccio mente locale di ciò che mi devo portare. Materiale da scialpinismo, fotografia, astrofisica. Vestiti e spazzolino da denti. Passaporto. Patente. 
Ore 9.02: I vestiti che ho addosso sono abbastanza. A casa ne troverò degli altri.

Ore 9.07: Zaino pronto.
Ore 9.08: Realizzo di aver dimenticato lo spazzolino da denti.
Ore 9.09: Zaino pronto.

Ore 9.10: Realizzo che dovevo chiedere un rimborso sul pianoforte comprato due mesi fa, e che devo farlo entro il 31 dicembre, in Francia. L'ultima possibilità, in buona sostanza, è oggi.

Ore 9.11: Momento di sconforto. Forse non ce la farò. Fine momento di sconforto.

Ore 9.12: Raccatto i documenti necessari al rimborso, sperduti tra mille fogli nello zaino che era già chiuso. Mi rendo conto che manca un fantomatico codice a barre che dovrebbe essere sulla scatola del pianoforte.
Ore 9.13: Forse mi serve un altro caffè. No, meglio cercare il codice a barre.
Ore 9.16: Dopo aver girato almeno 30 volte i 6 lati della scatola del piano, una cassa alta circa due metri, trovo il codice a barre.
Ore 9.19: Due minuti per staccarlo senza distruggerlo. Ma: a che indirizzo devo spedirlo? trovo l'indirizzo scritto in microcaratteri su uno dei documenti da inviare. Dovrò comprare una busta da qualche parte e trovare una cassetta della posta.

Ore 9.20: Richiudo lo zaino, pronto per uscire.

Ore 9.21: Un ultimo controllo a casa, controllo che ritenevo inutile, mi dice che ho dimenticato la spazzatura e del latte e del pane. 

Ore 9.22: Prendo le due cose, decido di dare il pane e il latte a un mendicante che è sempre appostato di mattina all'ingresso della metro di Bastille. Esco, consapevole di aver dimenticato qualcosa e che non è detto che l'aero aspetterà me.

Ore 9.23: Parlo in italofrancoinglese con il tipo del tabacchino sotto casa per dirgli che mi serve una busta e un francobollo. Metto i documenti nella busta e la chiudo. Hey! un momento, che ci fa il codice a barre che dicevo prima ancora fuori dalla busta??? Riapro la busta, inserisco il codice a barre e la richiudo. Il tabaccaio mi guarda con gli occhi a forma di punto interrogativo. 

Ore 9.24: Invio la busta, vado alla metro, lascio latte e pane al (presumibilmente) senzatetto, mi fermo a fare due chiacchiere con lui. 

Ore 9.26: Prendo la metro, arrivata giusto in tempo per me.

Ore 9.36: Cambio a Place d'Italie in direzione Marie d'Yvry. Decido di prendere la strada più lunga per l'aeroporto perché la più economica. Non ho la minima voglia di spendere 9 euro di Orlyval, un trenino di 6 minuti che connette la RER B all'aeroporto di Orly. Né, tantomento, ho voglia di prendere la RER B, che mi fa già imprecare ogni giorno per i suoi ritardi sulla via verso il mio posto di lavoro.

Ore 9.50: Scendo a Porte de Cluchy, trovo il 183 già pronto alla partenza verso l'aeroporto. Mi fermo a fare due foto ad un palazzo che mi piace tantissimo, proprio di fronte alla stazione dell'autobus.
Ore 9.52: Perdo l'autobus, che mi parte davanti agli occhi.

Ore 9.53: Faccio un'altra foto al suddetto palazzo, aggiungendo in primo piano un albero che rende il tutto ancora più interessante ai miei occhi.

Ore 9.59: Prendo il 183 verso Orly.

Ore 10.12: Inizio a scrivere questo post sull'autobus.

Ore 10.24: Una ragazza con un trolley che è nell'autobus con me scende ad una fermata. Io, distratto dallo scrivere, penso che forse siamo già in aeroporto, dato che l'unica persona nell'autobus con un bagaglio sta scendendo lì.
Chiudo tutto e in un istante scendo dall'autobus. In due istanti mi rendo conto che quello non è l'aeroporto, che quella ragazza sta scendendo lì per una qualche misteriosa ragione e che sono nel bel mezzo di una banlieu di Parigi. Risalgo sull'autobus. L'autista dell'autobus mi guarda con la stessa faccia del tabaccaio.
Ore 10.25: Riprendo a scrivere il post.

Ore 10.44: L'autobus 183 finisce la sua corsa a Marie d'Orly, e non sono ancora all'aeroporto. L'autista mi dice di scendere e aspettare il prossimo bus alla stessa fermata.
Ore 10.49: Arriva un bus, ma è anche questo a fine corsa.
Ore 10.49: Manca un'ora e cinque minuti alla partenza e ancora non ho idea di dove sia l'aeroporto.
Ore 10.49: Comunque sia ho la carta d'imbarco e solo bagaglio a mano. Ho le spalle coperte. Apro il computer alla stazione dell'autobus e continuo a scrivere questo testo. Mancano ancora 6 minuti all'arrivo del bus per l'aeroporto, o almeno questo è quanto dice la tabella elettronica alla fermata dell'autobus. L'ho vista solo adesso.

Ore 10.56: Arriva l'autobus, guidato da una simpatica donna di colore.
Ore 10.57: La direzione dell'autobus è quella opposta alla mia destinazione! Ma, misteriosamente, passerà anche per la mia destinazione. Bah.
Ore 11.15: Arrivo all'aeroporto di Orly, terminal Sud. La mia certa d'imbarco dice che l'imbarco chiude alle 11.25. Secondo me è una cazzata.

Ore 11.25: Dopo aver attraversato un aeroporto affollatissimo e passato i controlli, arrivo all'imbarco. La coda è ancora lunga. Sono in anticipo. Posso scrivere le ultima righe di questo post e poi mi rilasserò in volo. Direzione: casa.

giovedì 19 dicembre 2013

Memories of Uganda


(dedicated to those special folks I traveled with)

Do you remember?

Do you remember when you landed in Uganda? what were you feeling at the beginning of those two weeks  in the Land of Beauty? What did you think of Kampala? For some of us this was the first time we traveled in a continent different from that in which we were born. For me it was the first time in Africa.

Do you remember the first meal together, how we were trying to plan everything and how everything tuned out to be always different from what planned?

Do you remember that huge amount of pasta cooked in a very small pot in the kitchen of Nuno's room?

Do you remember the mouse running in the room of king Gomesi the first? 

Which of the thousands smiles you have seen will you remember? Do you remember the one of the girl after seeing sunspots? or the laughing while translating from english to a local language? or the happiness of hugging each other after a day spent speaking about the sky?

Do you remember the serious conversations we had, when each of us was speaking her or his own language? The Babel-GalileoMobile Uganda edition in Portugues, Brazilian, French and Italian.  Il était muito legal, davvero.

Do you remember when Phil gave birth to the 
"Istrunomy Under The Same Sky" ?

Do you remember when we were sitting with one foot in the southern hemisphere, and the other in the northern?

Do you remember when we had to depart and that feeling " this is gonna happen again."? Nobody spoke it, but we all shared it.

Do you remember "When are you going back to the moon?" "How long does it take to go to Mars?" "Why is the sky blue?" "Why is the night dark?" "What does GalileoMobile mean?"

Do you remember the Matoke?

Do you remember the camaleont  walking on our hands and harms in the forest near Sipi Falls? He would have liked to be one of us, one of those guys who try to change color every day, one of those guys who try to adapt themselves to all the students, schools, people encountered day after day.

Do you remember Pati showing the "Pale Blue dot"? Nuno explaining how long bacteria can survive on the rocks on the Moon? Phil and Fabio playing flute and drums in the courtyard of Manafwa college? Maria Serena and Domenico giving filming lessons?

Do you remember how important was to be a team, to feel and rely on the support of all GalileoMobile?

Do you remember those little models of the Solar System we placed in Uganda? Look, if the Solar System were so small, and if it were really be placed in Uganda, the closest star to the Sun, Proxima Centaury, would be sitting somewhere on the coastline of Brazil, or in Kathmandu. Do you think we can believe in the possibility that some human will cross half Africa and an Ocean, one day in the future? 

Do you remember how extraordinary was the time we spent in Uganda?

Will you remember to keep sharing your life with the most exceptional among the people you have met under our unique sky? 

domenica 8 dicembre 2013

Su "The road not taken"

Probabilmente non c'entra niente con questo blog, come del resto nessuno dei post precedenti, ma mi sono ritrovato a commentare una poesia e un film con un amico e appunto qui quanto gli ho scritto.
La poesia è "The road not taken", di Robert Frost. 
Il film è "Dead Poets Society", di Peter Weir. ("L'attimo fuggente", in italiano)
Gli ultimi tre versi della poesia sono citati nel film da uno dei protagonisti, il professore John Keating.

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Robert Frost - The road not taken

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.


* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * 
"Dead Poets Society", film simbolo.
"The road not taken", grande poesia.

Eppure, ti devo confessare:
secondo me quella poesia, o meglio, quei versi citati, sono il punto debole di Dead Poets Society.
Ossia: quei versi sono probabilmente tra i più famosi della poesia nordamericana del 1900.
Però sono ambigui, e Keating, nelle poche parole che spende per descriverli, ciò non lo dice.
Dovrebbe parlarne di più. Io immagino che lo faccia, in una di quelle parti della storia che il film non mostra.
Però nel film non lo fa. Perché?

Sono versi ambigui perché, leggendo la poesia "The road not taken", non si capisce se siano detti in termine di rimpianto oppure di possibilità, soddisfazione.
Robert Frost stesso pare abbia detto, a proposito di questa opera:

"One stanza of 'The Road Not Taken' was written while I was sitting on a sofa in the middle of England: Was found three or four years later, and I couldn't bear not to finish it. I wasn't thinking about myself there, but about a friend who had gone off to war, a person who, whichever road he went, would be sorry he didn't go the other. He was hard on himself that way." 

Al di là di quanto lui possa aver detto - perché la poesia è poi diversa da qualsiasi commento se ne possa fare, anche se il commento viene dall'autore stesso - nella poesia sono presenti due parole: "Sorry" e "Sigh". A me comunicano piuttosto il rimpianto di non averle potute percorrere entrambe, quelle due strade, così descrivendo la sofferenza nella scelta quotidiana che si presenta nelle vite umane, nel dover fare scelte da cui non poter tornare indietro, piuttosto che un elogio della strada "less traveled by", meno segnata.
O, addirittura, questo testo mi comunica un senso di rimpianto per sentire la pressione di dover fare, ad ogni istante, una scelta, quando invece molte delle scelte che facciamo nel quotidiano sono del tutto ininfluenti sul nostro futuro.
In fondo, Frost scrive che
"Though as for that the passing there
Had worn them really about the same"
cioè che sono più o meno la stessa cosa, e, inoltre, quella mattina non c'era traccia di passaggio di nessuna persona su nessuna delle due, come il poeta scrive all'inizio della terza strofa.

Ancor di più, pare che la differenza di cui parla Frost nell'ultimo verso del poema, la differenza che l'aver preso la strada meno percorsa ha poi avuto sulla vita del protagonista del poema, possa essere una differenza in negativo, ossia una differenza che non gli abbia consentito di vivere felice. Altrimenti perché scrivere
"I shall be telling this with a sigh" ?
Le strade meno segnate sono spesso luoghi difficili, pieni di trappole che richiedono grandi sforzi per essere evitate e superate. Un po' come le strade ben segnate, del resto.

In Dead Poets Society, invece, Keating presenta i tre versi finali come una esortazione a percorrere le strade meno segnate, a lasciare da parte quelle conosciute e battute dalla maggioranza, perché percorrere le strade meno segnate fa la differenza.
Ecco, io mi trovo d'accordo con Keating, ma non è questo il messaggio che "The road not taken" vuole mandare.
Se ci pensi, il titolo stesso del poema si riferisce alla strada non intrapresa, mentre ignora la strada che si è scelta. Senza considerare che un titolo che includa una negazione mi fa pensare ad un rimpianto, piuttosto che ad un elogio.

Ad ogni modo, un po' come una giornata di sole, o di pioggia, quella poesia è lì e ognuno può usarla, leggerla e lasciarsene ispirare come meglio crede e sente. 
Una poesia penso percorra la strada che le sarà naturale percorrere nell'animo del lettore, o, addirittura, ne traccia una nuova, oppure, come io preferisco, ne cammina una esistente ma nascosta, trascurata e piena di erbacce, che richiede solo di essere riscoperta.

venerdì 6 dicembre 2013

Bajo Un Mismo Cielo

Bajo un mismo cielo - GalileoMobile first documentary



This movie has influenced quite a lot my life.
It is a documentary.
It is called: Bajo Un Mismo Cielo.
Under The Same Sky, in english.
Sotto Lo Stesso Cielo, in italian.
It tells something of an idea that helped in keeping me alive in these last five years.
The idea, and turning it into reality.

I like it because it tells a story which is a beginning, and I like beginnings.
Take a look from beginning till end and enjoy.

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Esta película ha influenciado mucho mi vida.
Es un documental.
Se llama: Bajo un Mismo Cielo.
Under The Same Sky, en inglés.
Sotto Lo Stesso Cielo, en italiano.
Habla de una idea que me ha ayudado a estar vivo durante los últimos años.
La idea, y su trasformación en algo real.

Me gusta porque cuenta una historia que es un inicio, y me gustan los inicios.
Mirenlo todo y disfruten.

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Questo film ha influenzato molto la mia vita.
È un documentario.
Si chiama: Bajo un Mismo Cielo.
Under The Same Sky, in inglese.
Sotto Lo Stesso Cielo, in italiano.
Parla di una idea che mi ha aiutato a sentirmi vivo negli ultimi anni.
L'idea, e la sua trasformazione in realtà.

Mi piace perché racconta una storia che è un inizio, e mi piacciono gli inizi.
Guardatelo tutto, dall'inizio alla fine, e godetevelo.
 
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