martedì 31 dicembre 2013

Sulle nevi di casa a tallone libero


Ogni anno, da 15 anni, torno a casa per le feste di Natale.
Ogni anno spero ci sia neve da sciare sui pendii di casa.
Ogni tanto c'è e io mi ci vado a divertire, insieme a qualche amico.
Quest'anno, il 27 Dicembre, io e mio padre andavamo in macchina verso la nostra casa in campagna, alle pendici del Matese. Dopo due giorni di brutto tempo il cielo cominciava ad aprirsi e rivelava quel pezzo della cresta del Matese che corre da Monte Mutria fino a Campitello matese: bianco, carico di neve che risplendeva sotto il sole del primo pomeriggio. Era chiaro che il giorno dopo saremmo dovuti andare a sentirla sotto gli sci e a ricostruire la coppia sciistica Del Sordo&Del Sordo, che proprio su quelle nevi cominciò la propria esistenza nel 1990, o nel 1991, non ricordo.

Così il 28 dicembre, dopo aver raccattato sci, guanti, giacche e quant'altro in borse varie disperse tra armadi di casa e garage, eccoci diretti, mio padre ed io, in direzione Matese, con in testa di fare due ore di sci.
Per me è uno dei primi giorni di sci a tallone libero. "Telemark", proprio come una regione del sud della Norvegia. È il primo giorno di telemark sulle nevi di casa, a poco più di mezzora di macchina da Campobasso. Mi sembra un nuovo inizio. Quella dell'inizio è una sensazione particolare che non sento possa essere forzata. Una di quelle che c'è o non c'è. Bene, quel giorno c'era.
Eppure erano due semplici ore sulle piste dietro casa. Mio padre era un po' teso, forse per le piste affollate, forse perché da quasi due anni non usava scarponi e sci, forse perché sapeva che il giorno dopo io sarei ripartito verso nord. Sulla prima seggiovia, La Piana, occorreva sciogliere il ghiaccio.
Così mi è venuto spontaneo osservare un piccolo e lieve pendio, pendio dove facemmo le prime curve sugli sci tanti anni fa. Ora non era nemmeno battuto, al lato della pista Lavarelle. Un angolino pieno di ricordi, soprattutto per me che, appena messi gli sci, anni fa, dissi "Non se ne fa niente, smetto, non è per me." Insomma, dico a mio padre: Guarda quel pendio, ci sembrava così impossibile fare due curve lì, così faticoso e interminabile risalirlo a scaletta, ed invece non è nient'altro che una sputata insignificante, se visto da quassù."
Arrivati in cima, inizia per me la prima discesa a tallone libero sul Matese. Mi piace scendere a tallone libero perché mi costringe ad inginocchiarmi ad ogni curva, come una genuflessione alla montagna che mi ospita, alla neve che mi accoglie, al cielo perché ne mandi dell'altra. Inizio la discesa e sento di scendere bene, fluido, seppur sulle pendenze dolci della Lavarelle. Mi sento così sicuro che passando affianco al pendio dove iniziai a sciare decido che, beh, è un posto adatto per fare le prime curve fuoripista sul Matese, e mi ci butto. Mi accoglie bene: alla prima curva cado, che è pure la mia prima cauda a tallone libero. Cado e penso che pure su un pendio del genere ho ancora da imparare. E l'avevo definito una sputazza!
Mio padre intanto fa le sue curve concentrato per ritrovare movimento e sensazioni. e per non cadere, certo.

Non potrebbe essere altro che una storia di cadute, questa.
La caduta che poi ho fatto alla fine del canalone della Del Caprio, proprio quando sentivo di averne capito la giusta interpretazione mi parte lo sci sinistro, mentre cercavo di inginocchiarmici su. Mi parte e mi rigiro su me stesso, gli sci mi tirano a valle nella loro corsa sulla pista, io mi rigiro e mi fermo e, si, è ovvio che io debba cadere su questi pendii. Ora è chiaro.
La prima sciata telemark, pochi giorni prima, sulle nevi di Roccaraso con il mio compagno di sogni a tallone libero, Dario, era stata di controllo. Ero riuscito ad evitare cadute riuscendo a restare sulle mie gambe per tutto il tempo. Ora, invece, mi ritrovo col culo sulla neve.

Caduta uguale poi nel canalone dell'Anfiteatro. Lo sci sinistro ancora non riesco a controllarlo quando sono inginocchiato, non riesco a sentire la pressione sotto la punta del piede, mi manca ancora la sensibilità. E di nuovo gli sci prendono il sopravvento e mi tirano a valle come io non vorrei. Mi rimetto all'impiedi, respiro. Sono tutto integro, contento. Mio padre è a fare le sue curve da qualche altra parte, io riprendo con il mio movimento di genuflessione tutto da imparare.

Il tempo, poi, di mandare a cagare un ragazzo che cade a folle velocità e quasi mi investe, ed è già ora di tornare verso casa. Il pranzo ci aspetta. 
Ci lasciamo alle spalle la nostra montagna, innevata e soleggiata e, davanti, le nuove curve su questi pendii che ci aspettano in futuro.

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