sabato 23 novembre 2013

Appunti su Parigi #3 - Salle Pleyel

La storia precedente era il racconto dell'andare a lavoro, la mattina.
Ora, invece, è sempre 14 novembre e dal lavoro sto uscendo. Tutto già programmato: metro, lezione di yoga, metro, cena e relax serale a casa. Invece no.
So che stasera c'è Maurizio Pollini che suona Chopin e Debussy alla Salle Pleyel, qualche centinaia di metri dall'Arco di Trionfo. Non ho i biglietti. Internet mi dice che sono finiti, nessun posto disponibile.
Scambio un po' di email con Sara e mi rendo conto che non è possibile che l'unica cosa che io possa tentare, l'unica strada che conosca, sia quella di consulate un sito web. Pollini suona a Parigi pezzi che io sogno da una vita, preludi,ballate,studi e sonate di Chopin, la Cathédrale Engloutie e la Fille aux cheveux de lin di Debussy, e io non posso andarci perchè una pagina web mi dice che non è possibile.
Ma come ho fatto a finire così ingabbiato? Però parlare con mia sorella mi ispira a fare un atto rivoluzionario: telefonare. Fà, tu e i tuoi metodi antichi, su internet c'è tutto, anche di più di quanto non ci sia su internet e tu ti ostini a telefonare. Pollini lo riascolterai da qualche sito web mentre sei seduto davanti al tuo computer ed è lo stesso.
No, telefono. Mi risponde una ragazza dalla voce bellissima che parla inglese senza problemi dopo che io le ho detto in un francese singhiozzante che no, io non so parlare francese. Certo che ci sono ancora biglietti, il più economico e il più caro solamente, ma i biglietti ci sono ancora. Figuriamoci, se internet non sa neanche se ci sono ancora i biglietti per il concerto di Pollini, allora è ben lontano dal sapere tutto. Compro un biglietto e ritorno a scambiare mail con mia sorella per perdere un po' di tempo a crogiolarmi nell'idea che tra un paio di ore sarò seduto di fronte ad uno dei pianisti mito ancora viventi. Perdo tempo e si fa tardi, ma l'esaltazione cresce. Suonerà Chopin e Debussy su uno Steinway nella Salle Pleyel e io non sto nella pelle.
Saluto Sara, torno a casa, barba, doccia, camicia, giacca e sono pronto per uscire. Ma Parigi è grande e i tempi li ho calcolati bene giusto per un pelo. La linea 1 che mi porta fino a Charles De Gaulle - Etoile è infinita. E, una volta lì, dovrò ancora cambiare e prendere la 2 fino a Ternes. Proprio sotto l'Arco di Trionfo, scendo per cambiare linea di metro e ho poco meno di 5 minuti da aspettare. Passo frettolosamente davanti ad un signore anziano che suona il violino a pochi metri da dove prenderò la metro verso la Salle Pleyel. Bach, stentato, con errori, ma Bach. Io mi ipnotizzo, in pochi istanti. La gente continua a corrermi davanti, ma la scena è tutta di questo signore, con un giubbotto verde, sciarpa, occhiali, capelli bianchi, seduto su uno sgabellino a suonare il suo violino che emerge sul suono orchestrale che un piccolo amplificatore al suo fianco emette per completare l'opera. Probabilmente vuole arrotondare la sua pensione, o non ne ha una e non riesce ad arrivare a fine mese, o solamente vuole suonare e non sprecare il suono in una casa vuota o nella quale si rischi di disturbare i vicini. Vuole un pubblico, pagante o meno. Si, io l'ho immaginato così: un pensionato che nel tempo libero fa il suonatore di strada, perchè i suoi nipoti sono lontani e non può passare il suo tempo con loro.
Cosa c'è di strano in una persona che suoni della musica per strada? perchè questa non è una pratica diffusa in tutte le città ma, anzi, gli artisti di strada sono spesso visti nient'altro che come mendicanti? Mentre guardavo questo signore impegnato nelle sua musica, e distratto dal mondo che gli correva attorno, mi sono sentito proiettato nel futuro. In un futuro in cui la maggior parte delle persone penserà che la musica è un qualcosa prodotta da aggeggi elettronici che portiamo in tasca e non è consapevole che può essere suonata da esseri umani, in cui si sarà forse persa la conoscenza per produrre strumenti musicali acustici e quei pochi rimasti saranno preziosissimi e rarissimi e gli uomini che suonano ai bordi delle strade o nelle metropolitane saranno visti come rimasugli del passato o come ultima memoria di un passato più umano.
La metro sta per arrivare e io sono in ritardo. Devo ancora trovare la Salle Pleyel, che non ho idea di dove sia, ritirare il biglietto e concentrarmi prima dell'inizio del concerto. Ma penso che posso prendere la metro successiva. Solo tre minuti in più, per continuare ad ascoltare questo Bach da metropolitana. Sono tentato. Arriverò tardi e perderò probabilmente tutto il primo tempo di Pollini, ma ne vale la pena.
Però la metro arriva e io devo decidere in un attimo e sono risucchiato nel fiume che entra nel treno e va dritto per la propria strada e Bach rimane un ricordo lontano che sfuma e poi viene tagliato dalle porte che si chiudono.
Arrivo alla mia poltroncina in quinta fila dieci minuti prima che Pollini inizi il Preludio op. 45 di Chopin. Avrei quindi avuto il tempo di ascoltare tre minuti in più del violino del pensionato col giubbotto verde.
La sala è piena di gente che aspetta, o che non è affatto interessata, di giovani che ascoltano e guardano ogni nota e di chi forse va ad ascoltare musica classica per la prima volta in vita sua. La sala mi ricorda la Berwaldhallen di Stoccolma, dove ascoltai la Quinta di Shostakovic una domenica di settembre di un paio di anni fa, ma è meno bella di quella. E poi non sopporto la gente che non sa quando applaudire ad un concerto di musica classica. Dico: se non sai quando applaudire lascia fare agli altri, no?
Pollini non è quello di una volta, sembra insicuro e a volte spaventato, o incazzato col pianoforte. Ma il concerto fila liscio e alla fine lui si rilassa con due bis spaventosi, lo studio Rivoluzionario e soprattutto la ballata n. 1 di Chopin, che vorrei che Sara si materializzasse lì affianco a me per esaltarci insieme.

Esco. Il tempo di vedere due idioti che erano seduti dietro di me buttare per strada a terra delle cartacce, passare affianco ad un paio di senzatetto accartocciati davanti all'entrata di due negozi nel tentativo di passare una notte non troppo fredda, e sono sulla via di casa.

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