L’isola l’ho capita
quando l’ho lasciata
galleggiando su quell’acqua
a cui lei è ancorata.
Le sue luci da lontano,
sempre più fioche al proseguir
della mia rotta,
erano nient’altro che le vite
che avrei potuto vivere,
le strade che avrei potuto calcare
e le visioni che avrei incontrato su di esse.
Invece no.
I suoi contorni, lineamenti frastagliati
come una chioma d’ulivo,
al mio allontanarmi m’indicavano
gli intagli, i graffi che portava,
nient’altro che i cammini da me percorsi.
Allora vidi i momenti che parevan persi
ma erano il vero me,
e le mie corse
per cercare nella città
angoli che mi parevan nulla
ma erano tutta la storia che lì ho lasciato.
Alla ricerca di me stesso:
chi ha la fortuna di non farlo?
e alla scoperta che la mia natura
è quella di esse perso,
del ricercare,
che non esiste nel mondo del certo
del respirare,
che è ricerca continua di nuova aria
del raccontare,
che è ricerca di linee nuove nel vissuto e nel futuro,
è allontanarsi dall’isola e scoprirne nuove luci.
Ho capito l’isola solo quando l’ho lasciata in nave.
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