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lunedì 4 maggio 2009

Casse di risonanza

Le signore al bar della stazione di Milano erano un bel po' addormentate dietro i loro occhialoni antisupermiopia. "Fate la fila alla cassa!" a chi voleva solo indicare il panino da prendere, "Eh, ma se non mi indichi il panino! c'è bisogno che tu venga di là!" a chi era alla cassa a pagare. Così la cena di stasera è stata un po' difficile da ottenere, ma ora, sul treno, posso mangiare in santa pace. "Santa" perchè l'unica pace che mi viene in mente in questo vagone con la porta che non funziona e resta aperta è quella dei Santi il cui nome mi gira per la testa. Lo spazio tra un vagone e l'altro e l'entrata di questi sono casse di risonanza perfette, mi dicono le mie orecchie. Sono costruiti esattamente con questo scopo, e con quello di farci passare il carretto del napoletano che con esso gestisce la cena dei passeggeri dell'eurostar: chiedi un panino al crudo e lui in un attimo ti convince a prenderne uno al cotto e pure una coca e i biscotti così sono 10 euro precisi. Ecco come tengono in piedi le finanze delle ferrovie dello stato. Peccato però che io abbia solo venti centesimi in tasca: niente cotto, napoletano in fuga verso la prossima vittima e io a programmare la sosta nel bar "Da Morfeo" a Milano.

Trieste è stata bella, con il suo mare aperto sull'orizzonte così diverso dal frastagliato arcipelago di Stockholm, con le sue strade eleganti e a volte decadenti. Ieri sera con Goffredo nel centro, in una strada proprio sotto casa, per metà vuota e per l'altra metà colma di giovani del luogo. "Se fossimo a Campobasso questo luogo lo odierei" gli dico "mentre qui riesco a starci". Ma è un attimo, lasciamo i ragazzi ad anelare le finte fighe-tutte-uguali-che-una-vale-l'altra e siamo in cammino verso un locale sperduto, chilometri più in là. E mentre camminiamo sullo stretto marciapiede in una galleria proprio al di sotto del castello, nel posto peggiore da essere passeggiato di tutta Trieste, in cui un motorino ha lo stesso rumore di un Jumbo, verso un locale che poi era chiuso, e poi ancora per strade vuote e stanche sotto le nostre stanche gambe, mi rendo conto che avrei potuto dirvela così: "Sai, sotto casa era poco figo così ieri siamo andati in galleria!". Però mi andava di scrivere un po' più di un solo rigo.

martedì 28 aprile 2009

Risiera di San Sabba

Ieri sono stato alla Risiera di San Sabba, grazie a Sara che mi ha invogliato.
Qui a Trieste siamo in Italia ma si sente forte la presenza del confine. La frontiera e' nell'anima della citta'.
La Risiera rientra in tutto cio', sembra essere cosi' lontana dalla realta' italiana, eppure proprio qui sono state ammazzate, torturate migliaia di persone. E' stato l'unico vero lager nazista in territorio italiano.
Bisogna andare in posti come questo per cercare di capire, per evitare di cadere nell'inganno di chi vuole far credere che tutto sia uguale. Non e' vero, cosi' come non e' vera la sensazione di specialita' che sorge in noi quando scopriamo questi luoghi. Il sentire questi tragici eventi come lontani dalla vita reale, lontani dalla nostra quotidianeita' che ha a che fare con ben altri temi, piu' importanti, piu' concreti, e' un'impressione fallace.
Non basta mezzora di indignazione, ma piuttosto serve una reale consapevolezza, ovemai fosse possibile raggiungerla.

La Risiera e' un posto opprimente, intenso. Non e' sperduta nelle campagne o nascosta da qualche collina, ma e' vicina alle case, in una traversa di una strada qualunque nella periferia di Trieste.
 
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