Dovevo perdermi, dicevo. Mi sono perso, allora. Sono tuttora perso.
Parlo a rantoli. Mi sposto a scatti. Cambio direzione ogni istante.
Sento l'istante per ciò che in realtà è. Un qualcosa che sta lì a pressare, spingere, che sta per arrivare ed eccolo, sta lì per arrivare, si, mi mette pressione, mi spinge e soffoca e illude nel suo continuo essere in arrivo, mi mette in continua attesa e in fittizia ricerca.
Mi incalza, vuole che diventi me stesso o chissà cos'altro.
L'istante annuncia il proprio giungere per poi arrivare in un tempo e spazio che io ho già lasciato.
L'istante mi fa girare tutt'attorno a seguire le linee dei vortici caotici dei desideri, mi fa cambiare direzione ed incrociare la mia solo casualmente.
Mi ipnotizza e mi fa perdere, nel goffo tentativo della sua cattura. Si. Mi fa perdere, per caso.
E per smaltire la sbornia riparto da ciò che riconosco.
Île Saint-Louis è il primo posto di Parigi in cui ho avuto la sensazione di rendermi conto di dove fossi.
Stavo camminando, alla mia destra il fiume.
"Questa sensazione l'ho già avuta.", mi sono detto.
La sensazione di essere su un'isola.
Un'isola circondata da un fiume in corsa verso l'oceano, anche se l'oceano da qui non si vede ed è nient'altro che un'idea lontana, di sconfinato e misterioso.
Camminavo su Quai de Béthune: mi è sembrata, d'un tratto, una strada che avesse un senso che io ero autorizzato a riconoscere. Un lungofiume su un'isola.
Così il mio racconto, il perdermi e ritrovarmi, non può che iniziare da qui.
Da un'isola, laddove non pensavo ce ne potessero essere.
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